Microsoft word - bluff depressione articolo


Bluff depressione
Uno studioso americano ha messo le mani sulle carte segrete delle aziende
che producono antidepressivi. E ha scoperto che non sono più efficaci dei
placebo. Lo abbiamo intervistato. Colloquio con Irving Kirsch

Autore: Agnese Codignola
da: L’Espresso 11.2.2010, n. 6/2010, pp. 134-138

L’imperatore è nudo: parola di Irving Kirsch, professore al Department of Psychology
dell’Università di Hull, in Gran Bretagna, e docente emerito dell’Università del
Connecticut. Che ha pubblicato diversi studi per dire che quei farmaci che dovrebbero
aiutare a sconfiggere il male di vivere, al contrario, non fanno nulla. Per dimostrarlo,
Kirsch si è avvalso del Freedom of Information Act, la legge statunitense che tutela il
diritto di accesso alle informazioni di interesse pubblico. E ha costretto l’Fda a tirare
fuori dai cassetti ciò che, altrimenti, non sarebbe mai diventato di dominio pubblico,
ossia i dati in base ai quali erano stati approvati sei tra gli antidepressivi più venduti, e
cioè citalopram (elopram e altri), fluoxetina (prozac e altri), nefazodone (reseril,
ritirato per danni epatici), paroxetina (seroxat e altri), sertralina (zoloft e altri),
venlafaxina (efexor e altri).
Kirsch ha così dimostrato che, in 47 studi clinici controllati, in gran parte sponsorizzati
dalle industrie produttrici, solo il 10-20 per cento dei pazienti avverte un beneficio
dovuto effettivamente all’azione farmacologica della molecola, mentre l’80-90 per
cento dei depressi si sente meglio grazie al placebo. E aggiunge: tutti lo sanno, ma
tutti continuano a sostenere le pillole della felicità. Per questo ha voluto intitolare un
suo articolo ‘I farmaci nuovi dell’imperatore: la disintegrazione del mito degli
antidepressivi’.
Un mito che oggi vacilla sotto l’autorità di un grande studio pubblicato su ‘Jama’ che
sostiene chiaramente l’inutilità di questi farmaci in chiunque non sia depresso in
maniera molto grave. La ricerca si basa sui dati ottenuti sulle 160 mila donne
partecipanti alla Women’s Health Initiative, così come quella che dimostra come gli
antidepressivi nelle donne in menopausa aumentino il rischio di ictus e morte (dati
pubblicati sugli ‘Archives of Internal Medicine’). Un colpo ferale, che arriva dopo anni
di polemiche su quanto l’uso intenso di questi farmaci aumenti il rischio di suicidio.
Che cosa concludere? Ecco che cosa ne pensa lo studioso.
Professor Kirsch: dati nascosti, per coprire la scarsa efficacia, ambiguità degli
enti regolatori per farmaci sostenuti da imponenti campagne pubblicitarie.
Come è stato possibile?
“Ci si muove su un terreno scivoloso. Nelle sperimentazioni, i malati che assumono
questi farmaci spesso migliorano; tuttavia, ciò che non si è detto per anni è che anche
i pazienti trattati col placebo migliorano all’incirca allo stesso modo. In altre parole, i
farmaci funzionano non grazie al loro meccanismo d’azione, bensì all’effetto placebo,
ma questa verità è stata taciuta per anni. Nella pratica clinica, d’altro canto, se un
depresso migliora, il medico non ha alcun modo per stabilire perché ciò accade. E
quindi, spesso, pensa sia a causa del farmaco e continua a darlo”.
Nessuna cattiva coscienza dei medici, allora? Chi ha sbagliato?
“Le informazioni più rilevanti sono state tenute nascoste per due decenni, anche se
tutti gli specialisti erano a conoscenza di quello che qualche mio collega coinvolto negli
Tratto dalla rassegna stampa di www.giulemanidaibambini.org contro gli abusi nella prescrizione di psicofarmaci a bambini ed adolescenti
studi registrativi ha in seguito pubblicamente e senza vergogna definito ‘il nostro
piccolo sporco segreto’”.
Che ruolo hanno - o dovrebbero avere - oggi gli antidepressivi?
“Iniziano a esserci timidi segnali di cambiamento, via via che vengono pubblicati nuovi
risultati: per esempio, un recente sondaggio condotto in Gran Bretagna ha mostrato
che il 44 per cento degli specialisti incomincia a considerare alternative a questi
medicinali. Tuttavia non bisogna illudersi, i consumi sono ancora in aumento, e molti
medici li prescrivono subito, come primo approccio a depressioni anche lievi, mentre
nella stragrande maggioranza dei casi dovrebbero essere considerati come l’ultima
spiaggia, e usati solo dopo che tutte le altre cure hanno fallito”.
Perché invece sono tanto amati, dai medici in primo luogo?
“Negli ultimi vent’anni ci hanno raccontato che tutto era dovuto alla serotonina. Ma i
dati genetici e di laboratorio dimostrano che non è così. Così come lo dimostra il fatto
che esistono antidepressivi che aumentano la serotonina (come la fluoxetina), altri
che la diminuiscono (come la tianepina) e altri che non hanno alcun influenza su di
essa, e il loro effetto è identico. Perché la serotonina non c’entra: ciò che funziona è
l’effetto placebo”.
Riducendo il ruolo dei farmaci, qual è il modo più efficace per affrontare la
depressione?
“I dati degli ultimi anni dimostrano che la psicoterapia, soprattutto quella di tipo
cognitivo-comportamentale, è l’alternativa migliore ai farmaci. Infatti, anche se i
benefici immediati possono essere analoghi a quelli ottenibili con gli antidepressivi,
quelli a lungo termine sono molto più consistenti e stabili. Sappiamo che la maggior
parte dei depressi trattati con i farmaci è destinato prima o poi a ricadere in
depressione, ma la psicoterapia dimezza tale rischio. Inoltre, anche se i suoi costi
iniziali possono essere superiori a quelli di un protocollo farmacologico, molti dati
dimostrano che negli anni è costo-efficace e più economica rispetto agli antidepressivi.
A essa poi si può aggiungere la lettura di alcuni libri scritti da specialisti. In commercio
se ne trovano diversi, incentrati su aspetti differenti quali il perseguimento di attività
gradite, il rafforzamento delle relazioni sociali, la percezione di sé e così via, che
anch’io consiglio sovente ai miei pazienti; riconosco che il ricorso ai libri potrebbe
sembrare una soluzione semplicistica e inadeguata, ma ci sono ormai diversi studi che
dimostrano che alcuni testi, da soli o in aggiunta alla psicoterapia, hanno un’efficacia
ancora misurabile dopo tre anni, soprattutto quando la depressione non è troppo
grave. Come lo sport, d'altra parte”
L’attività fisica? Che ruolo ha?
“Ha un ruolo fondamentale e spesso sottovalutato nella cura delle depressioni. Molti
studi lo hanno rilevato, mentre altri hanno messo a confronto l’efficacia di vari tipi di
esercizi con quella delle diverse psicoterapie e dei farmaci, e altri ancora hanno
provato a sommare l’effetto degli uni e degli altri. Il risultato, così come emerso in
alcune rassegne di studi, è sempre lo stesso: lo sport aiuta a controllare le depressioni
lievi, e la sua efficacia è paragonabile a quella delle terapie psicologiche o
farmacologiche, soprattutto sul lungo periodo. Da queste ricerche, inoltre, sono
emersi risultati sorprendenti. Per prima cosa le ricerche hanno rilevato che l’esercizio
fisico ancora funziona meglio sulle depressione medio-gravi che su quelle più lievi. E
hanno visto che gli effetti benefici dello sport sono duraturi e, anzi, aumentano nel
Tratto dalla rassegna stampa di www.giulemanidaibambini.org contro gli abusi nella prescrizione di psicofarmaci a bambini ed adolescenti
tempo, se il depresso è costante nello svolgimento dell’attività scelta, che deve
consistere in media in venti minuti di allenamento tre volte alla settimana”.
Qualunque attività?
“Va bene tutto, purché sia gradito e ben accetto dal paziente. Sul perché lo sport
faccia così bene, per ora ci sono solo teorie: probabilmente in gran parte è dovuto al
rilascio di endorfine. Comunque, anche se tutto causato dall’effetto placebo, per
convincersi di quanto lo sport sia positivo basta confrontare i suoi effetti collaterali con
quelli dei farmaci. Con questi ultimi il depresso va incontro a disfunzioni sessuali,
nausea, vomito, insonnia, convulsioni, diarrea, cefalea, rischio di pensieri suicidi e
sonnolenza. Con lo sport si ha la possibilità di mettere sotto controllo il proprio
colesterolo, di perdere il peso in eccesso, di dormire meglio, di avere un
miglioramento della libido, del tono muscolare, della funzionalità cardiaca e vascolare
e, in definitiva, di vedere la propria aspettativa di vita allungarsi. Non mi resta che
dire: potendo scegliere, quale dei due effetti placebo preferireste?”.
PARERE DEL PROF. PAOLO MIGONE*

I dati riportati in questo articolo del n. 6/2010 de L’Espresso sono corretti, anzi - cosa
che qui non viene detta - lo studio di Kirsch et al. del 2002 di cui si parla è stato
replicato da altri autori ottenendo gli stessi risultati (vedi ad esempio Whittington et
al., 2004; Kirsch & Moncrieff, 2007; Turner et al., 2008¸ Hughes & Cohen, 2009; vedi
anche Kirsch, 2009). Per di più, i successivi studi sono stati pubblicati su riviste molto
prestigiose (ad esempio anche sul New England Journal of Medicine, una delle riviste
più qualificate al mondo, su cui ad esempio scrivono i premi Nobel). Tutti i ricercatori
hanno sempre saputo che i farmaci antidepressivi hanno una efficacia molto simile al
placebo (c’è una piccola significatività statistica ma non una significatività clinica).
Questo infatti è sempre stato considerato dai ricercatori il loro “piccolo sporco segreto”
(little dirty secret), come è stato detto testualmente (Hollon et al., 2002). Nessun
ricercatore ha mai contraddetto questi risultati. Esiste solo uno studio molto recente
(Fournier et al., 2010) che mostra che i farmaci possono essere un po’ efficaci ma solo
nelle depressioni gravi, mentre nella stragrande maggioranza dei casi sono inefficaci
(Kirsch et al. invece non avevano trovato differenze tra pazienti lievi e gravi).
Sono stato io per primo a pubblicizzare queste ricerche in Italia in un articolo uscito
sul n. 3/2005 di Psicoterapia e Scienze Umane, che è reperibile anche su Internet
(”Farmaci antidepressivi nella pratica psichiatrica: efficacia reale“). Esistono anche
dati di ricerca ben consolidati che dimostrano che la psicoterapia è nettamente
superiore ai farmaci. A proposito di psicoterapia, nel n. 1/2010 di Psicoterapia e
Scienze Umane, che esce tra circa un mese, vi è un importante review di Shedler
sull’efficacia della terapia psicodinamica in cui, tra le altre cose, vi è una tabella che
paragona le “dimensioni del risultato” (effect size) di vari tipi di psicoterapia, emerse
dalle principali meta-analisi esistenti (15 in tutto, 2 delle quali sono “mega-analisi”,
cioè meta-analisi di meta-analisi), e in questa tabella vengono mostrate anche, come
elemento di paragone, le effect size dei farmaci antidepressivi: queste variano da .17
a .31, mentre quelle della psicoterapia variano da .62 a 1.46 secondo le diverse meta-
analisi, è cioè enormemente più efficace la psicoterapia dei farmaci (se può
interessare un paragone tra le diverse tecniche psicoterapeutiche, da questo studio
Tratto dalla rassegna stampa di www.giulemanidaibambini.org contro gli abusi nella prescrizione di psicofarmaci a bambini ed adolescenti
emerge che la terapia psicodinamica [PDT] è più efficace della terapia cognitivo-
comportamentale [CBT]: le effect size della terapia psicodinamica variano da .69 a
1.46, mentre quelle della terapia cognitivo-comportamentale variano da .58 a 1.0;
questo è un dato nuovo, che va in controtendenza rispetto a precedenti studi, che
penso farà molto discutere). Questa review di Shedler esce proprio in questi giorni
sulla rivista American Psychologist, organo dell’American Psychological Association, e
viene pubblicata quasi in contemporanea in italiano grazie a un accordo tra
Psicoterapia e Scienze Umane e l’American Psychological Association.
Qual è la ripercussione di questi studi sulla pratica psichiatrica in generale? Forse non
molta, perché queste cose si sapevano da tempo eppure i farmaci antidepressivi
hanno continuato ad essere prescritti a vasti settori della popolazione, anzi sempre di
più, e vengono proposti persino per i bambini. Vi sono varie forze che sinergicamente
spingono verso a un massiccio uso di farmaci. Innanzitutto la pressione delle case
farmaceutiche che condiziona pesantemente la cultura dei medici, finanziando
pressoché quasi tutte le riviste scientifiche, i congressi, “informando” costantemente i
medici tramite i rappresentanti farmaceutici i quali pagano la loro partecipazione ai
congressi scientifici e così via. Poi vi è in molti pazienti una grande aspettativa verso il
farmaco che risolva in modo rapido i problemi di cui soffrono, e questa aspettativa
deriva da una cultura diffusa (alla cui diffusione non sono estranee le case
farmaceutiche); questa cultura del resto è quella da cui deriva il potente effetto
placebo (però pochi ricordano che i benefìci ottenuti coi farmaci potrebbero essere
ottenuti quasi allo stesso modo con un placebo). Infine gli psichiatri, che molto spesso
hanno poca cultura psicoterapeutica, non sono preparati a rispondere ai pazienti
trasmettendo altri valori, anzi, quasi sempre colludono con loro elargendo farmaci
antidepressivi (cioè in sostanza placebo) e quindi “non curandoli” nel senso scientifico
del termine. E’ stato dimostrato infatti che i farmaci antidepressivi non solo producono
risultati inferiori alla psicoterapia, ma anche più ricadute e una graduale diminuzione
del risultato raggiunto, mentre la psicoterapia produce meno ricadute e un progressivo
aumento dell’effetto terapeutico nel tempo, come se si mettessero in moto processi
psicologici autonomi che evolvono negli anni.
Come fare per aumentare la consapevolezza di questi dati nei medici e nella cultura
psicologica in generale, migliorando così le prestazioni psichiatriche? Non è facile dirlo,
occorrerebbe una modificazione dei processi formativi, introducendo maggiormente
una cultura psicodinamica e interpersonale nella formazione degli psichiatri, che tra
l’altro è più in linea con le evidenze scientifiche che paradossalmente vengono vantate
proprio da quel mondo accademico che, in sinergia con le case farmaceutiche,
continua a diffondere una cultura secondo la quale sono soprattutto le variabili
farmacologiche, e non psicologiche, quelle importanti nella salute mentale.
Non è possibile qui approfondire ulteriormente questa problematica, che è abbastanza
specialistica (ad esempio riguardo a come si calcolano le effect size, a cosa è una
meta-analisi, ecc.), per cui rimando ai lavori segnalati nella bibliografia riportata qui
sotto.
*Condirettore
di
"Psicoterapia
e
Scienze
Umane"
http://www.psicoterapiaescienzeumane.it Via Palestro, 14 - 43123 Parma
Tel./Fax 0521-960595 E-Mail <migone@unipr.it>

Tratto dalla rassegna stampa di www.giulemanidaibambini.org contro gli abusi nella prescrizione di psicofarmaci a bambini ed adolescenti
Bibliografia
Fournier J.C., DeRubeis R.J., Hollon S.D., Dimidjian S., Amsterdam J.D., Shelton R.C. & Fawcett J.
(2010). Antidepressant Drug Effects and Depression Severity. A Patient-Level Meta-analysis. JAMA:
Journal of the American Medical Association, 303, 1: 47-53.
Hollon S.D., DeRubeis R.J., Shelton R.C. & Weiss B. (2002). The emperor’s new drugs: effect size and
moderation effects. Prevention & Treatment, 5, art. 28.
Kirsch I. (2009). The Emperor’s New Drugs: Exploding the Antidepressant Myth. London: The Bodley
Head.
Kirsch I., Moore T.J., Scoboria A. & Nicholls S.S. (2002a). The emperor’s new drugs: an analysis of
antidepressant medication data submitted to the US Food and Drug Administration. Prevention &
Treatment, 5, art. 23.
Kirsch I., Scoboria A. & Moore T.J. (2002b). Antidepressants and placebos: secrets, revelations, and
unanswered questions. Prevention & Treatment, 5, art. 33.
Kirsch, I., & Moncrieff J. (2007). Clinical trials and the response rate illusion. Contemporary Clinical Trials,
28, 4: 348-351.
Migone P. (1996). Brevi note sulla storia della psichiatria in Italia. Il Ruolo Terapeutico, 71: 32-36.
Edizione su Internet: http://www.psychomedia. it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt71-96.htm.
Migone P. (2005). Farmaci antidepressivi nella pratica psichiatrica: efficacia reale. Psicoterapia e Scienze
Umane, XXXIX, 3: 312-322. Edizione su Internet in PDF: http://www.lidap.it/pdf/ArtMigoneSSRI.pdf. Una
versione
http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt112-09.htm. Migone P. (2009). La “cattiva psichiatria”. Il Ruolo Terapeutico, 110: 65-72. Edizione su Internet: http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt110-09.htm. Migone P. (2010). Editoriale. Psicoterapia e Scienze Umane, XLIV, 1: 7-8. Shedler J. (2010). The efficacy of psychodynamic psychotherapy. American Psychologist, 65, 2: 98-109 (trad. it.: L’efficacia della psicoterapia dinamica. Psicoterapia e Scienze Umane, 2010, XLIV, 1: 9-34). Turner E.H., Matthews A.M., Linardatos E., Tell R.A. & Rosenthal R. (2008). Selective publication of antidepressant trials and its influence on apparent efficacy. New England Journal of Medicine, 358, 3: 252-260. Internet edition: http://content.nejm.org/cgi/content/full/358/3/252. Tratto dalla rassegna stampa di www.giulemanidaibambini.org contro gli abusi nella prescrizione di psicofarmaci a bambini ed adolescenti

Source: http://www.positivamente.it/Files/Doc/Bluff_depressione.pdf

psicologietoscane.it

CURRICULUM VITAE DI NICOLA MARSIGLI Firenze, 27 giugno 2013 DATI PERSONALI • Residente in via Aretina 485, 50136 Firenze • Leva assolta nell’aprile 1998 TITOLI DI STUDIO • Maturità classica, conseguita con il voto di 48/60 presso il Liceo Classico “M. Allegretti” di • Laurea in Psicologia presso l'Università degli Studi di Padova, conseguita nell’Anno A

Antiretrovirals - klöhn

Producing antiretroviral drugs in plants In 1983 Luc Montagnier who worked at the Pasteur Institute in France discovered that the acquired immune deficiency syndrome (AIDS) is caused by a retrovirus that is nowadays known as the human immunodeficiency virus (HIV). According to estimates of the Joint United Nations Program on HIV/AIDS (UNAIDS) and the World Health Organization (WHO) 25 million

© 2010-2017 Pharmacy Pills Pdf