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Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°6 - 1993 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane GIUSEPPE PALATINI FARMACIE DI UNA VOLTA L'evoluzione economico-sociale e conseguentemente del costume della popolazione italiana, evoluzione che ha avuto il suo periodo più tumultuoso negli anni '60, è ben nota ed è facilmente comprensibile quale sia stata la spinta che ha dato al cambiamento delle farmacie. Altrettanto nota è l'evoluzione della ricerca nel campo dei farmaci: tralasciando antibiotici, cortisonici, ipoglicemizzanti, pensiamo ai nuovi gastroprotettori (gli antagonisti H2 istaminici e gli ancor più recenti inibitori della pompa protonica), pensiamo al primo vero ipocolesterolemizzante, entrato in terapia da un paio d'anni, o all'ultima generazione di antipertensivi e confrontiamo ad esempio l'uso di questi ultimi con la romantica irudoterapia. Ora, per cercar riscontro a queste tumultuose evoluzioni consideriamo una farmacia così come oggi si presenta: in una media farmacia (ricordiamo che la legislazione vigente prevede per le aree urbane una farmacia ogni 4.000 abitanti), lavorano 4-5 persone; 2 o 3 a contatto col pubblico, una intenta a compiti amministrativi, una o due certamente impegnate nella ricezione, nel controllo e nel rifornimento dei farmaci, naturalmente a ruoli non rigidi. Quasi sempre non manca il supporto dell'informatizzazione. Oltre l'orario d'apertura restano da eseguire le preparazioni magistrali (ritornate abbastanza numerose, almeno per chi vi presta attenzione); rimane Pesame della posta e delle frequenti circolari con i continui cambiamenti e controcambiamenti che annunciano; rimangono gli adempimenti fiscali, finanziari e commerciali. Rimane, secondo coscienza del farmacista, la -------------------------------------------------------------------------------- GIUSEPPE PALATINI, titolare dell'omonima farmacia in via Cavour di Vittorio Veneto, dove continua la professione paterna. La vecchia Farmacia Palatini era in via Roma. -------------------------------------------------------------------------------- 115 lettura delle periodiche pubblicazioni professionali, la documentazione sui farmaci nuovi o sui temi che si sono presentati. Si può anche non farlo, ci si può concentrare solo sui sempre più frequenti articoli di marketing, di corretta gestione del magazzino, di ottimizzazione delle vendite; la farmacia va avanti egualmente, ma l'immagine è ben diversa. È risaputo che molte persone, specie le persone anziane, cercano ancora in farmacia una prestazione individuale, che può tradursi nell'interpretazione di un responso specialistico, in un consiglio su una piccola patologia, su una dieta da seguire, a volte sulle cose più strane e impensate. Per queste persone un'ulteriore evoluzione che spingesse la farmacia verso un modello tipo drugstore americano sarebbe senz'altro una perdita. Per ritornare al cambiamento del costume, pensiamo al concetto di salute di ieri e di oggi: ieri per salute si intendeva assenza di stato patologico, anzi assenza di stato patologico grave, oggi per salute s'intende stato di benessere fisico e mentale, piena efficienza fisica, aspetto estetico non intaccato: fra dermatologia e cosmesi il confine è molto incerto. La cosa, di per sé positiva, ha portato ad aggiungere ai bisogni essenziali, necessità del tutto marginali, se non fittizie, create a scopo di espansione commerciale. Di questo troviamo riscontro nella diffusa pubblicità di prodotti paraterapeutici, pubblicità spesso redazionale, cioè nascosta in articoli dal tono scientifico. È una strategia cui ricorrono anche le più grandi multinazionali del farmaco, tipo Hoffmann La Roche, Bayer, Ciba-Geygi, ormai tutte dotate di una loro linea benessere. Il prezzo che impongono a questi loro prodotti ha scarso rapporto col costo di produzione, ma è attentamente studiato sulla base del coinvolgimento emotivo suscitato. Se poi volgiamo lo sguardo alla veterinaria, notiamo che la massa dei "pazienti" non è più costituita da animali dal significato economico, ma da animali di affezione e di moda, per i quali si fanno, e non di rado, chiamate notturne. Fatte queste premesse e visti alcuni aspetti attuali, è ora il momento di entrare in una farmacia di ieri: notiamo innanzitutto gente seduta in paziente attesa (nella mia vecchia farmacia c'erano 5 posti a sedere), poi una persona, mai giovanissima, dietro il banco di noce, che ostenta un atteggiamento professionale. A costui, un pratico di lunga esperienza, che si destreggiava con più dimestichezza del titolare, erano affidati il primo contatto con la gente e l'evasione delle normali richieste. Talvolta diveniva un'istituzione e rimaneva in forza alla farmacia per anni e anni anche all' avvicendarsi dei titolari. I Vittoriesi, a tal proposito, ricorderanno un tale dalla corporatura un p0' pesante, l'aria dotta, di nome Narciso, vera colonna di una farmacia di Ceneda per lungo tempo. Il titolare si vedeva solo su motivata richiesta, poichè svariati compiti lo tenevano impegnato all'interno. Vediamone alcuni: nei momenti di maggior impegno professionale era intento a preparare farmaci di particolare importanza ed in alte attività come l'infuso di digitale, dalle foglie, prima 116 controllate al microscopio per accertare l'assenza di sofisticazioni, delle Digitali purpuree. È un medicamento cardiocinetico a tutt'oggi insostituibile, solo che non occorre più prepararlo, basta togliere da un cassetto una scatola di "Lanoxin", o "Lanitop". Da ricordare che il controllo qualitativo e la determinazione del titolo delle sostanze era incombenza fondamentale, per la quale il fannacista doveva ricorrere a tutta la sua attenzione e la sua preparazione scolastica. Altro classico esempio di preparazione era il "Liquore arsenicale del Fowler" a partire dall'anidride arseniosa, rimedio canonico nelle anemie, nelle astenie fisiche e nervose, persino nella malaria e nella turbercolosi. L'arsenico era ritenuto ricostituente principe e degno di gran diffusione, tanto che molti dovevano essere allora gli emuli di Mitridate. Oltre a questi classici, ogni farmacista curava un suo formulano particolare, anzi un formulano particolare della farmacia, che ereditava dal suo predecessore e maestro ed arricchiva con le proprie esperienze e con la raccolta di ricette degne di nota. Ecco a tal proposito alcuni esempi interessanti e curiosi tratti da un vecchio formulano della mia farmacia, fortunatamente sopravvissuto; si può notare che i temi trattati non riguardano soltanto la terapia, ma le più svariate necessità tecniche di allora: Acquavite alemanna aromatica Gialappa polvere g. 40, Turbitto radice contusa g. 20, Scammonea di Aleppo polv. g. 5, Cannella Ceylon, Garofano chiodi, Sandalo legno polvere g. 2.50, Zucchero-Alcole-Acqua (Preparazione purgativa tra le più drastiche) Afrodisiaco per bovine Cantaridi polvere g. 1, Lauro bacche polvere g. 20, Pepe nero polvere g. 4 Mescola e dividi in due parti. Somm. e distanza di un'ora una dall'altra. Calice di Faust (miscela esplosiva forse per rappresentazioni) Clorato potassa g. 6, Permanganato potassa g. 2, Saccarosio g. 2, Nitrato stronziana g. 0,75. Inchiostro al vanadio Tannino g. 100, Vanadato ammonico g. 4, Acqua g. 1000 (Ha tinta azzurro intenso brillante. Utile per penne stilografiche) Sviluppi fotografici Acqua distillata g. 400, Solfito di sodio g. 40, Carbonato di sodio puro g. 65, Idrochinone g. 4 Viraggio fotografico economico Sodio iposolfito g. 250, Acido citrico, Acetato di Piombo anag 3, Allume crudo g. 20, Acqua distillata g. 1000, (Filtra il liq. lattiginoso) Vino artificiale Zucchero bianco g. 1.100, Cremor tartaro g. 180, Ac. tartarico g. 360, Fiori di melo g. 260 (o uva passa Kg. 1), Fiori di sambuco g. 30, Sale cucina g. 130, Aqua fontis litri 70 Lascia a riposo per 5 giorni (Senza alcool - indicato per cirrotici). Pomata profilattica contro la sifilide (da pubblicazione di medicina) (Gazète hebdomadaire des Sciences médicales de Bordeaux 1925 n° 9) Cianuro di Mercurio g. 0,10, Timolo g. 1,75, Calomelano (cloruro mercuroso) g. 25, Lanolina g. 50, Vaselina quanto basta a g. 100 "Da osservazioni fatte su 692 individui, che si sono esposti nelle più gravi condizioni al virus sifilitico, e sotto il controllo di medici militari,l'A. è arrivato a queste conclusioni: "Nessuno di coloro che hanno usato correttamente questo metodo di disinfezione ha contratto malattiavenerea. Per quanto si possa essere scettici, tali risultati invitano a provare (sic!)". Vorrei ricordare anche un paio di prescrizioni della vecchia veterinaria gentilmente datemi da un amico veterinario. Preparazione "viscigante" del Dr. Pedrone per bovino con sbirro anteriore (affezione dei legamenti del ginocchio): Cantaride polvere g. 15, Euforbio g. 5, Petrolio g. 25, Olio oliva g. 30. L'Euforbio è la resina di una pianta africana ad azione fortemente revulsiva. Le Cantanidi, conosciute fin dall'antichità e dette appunto in greco Kantharfdes, sono insetti imenotteni che vivono in colonie numerose sui frassini nell'Europa meridionale: Romania, Ucraina, anche in Sicilia. Di un bel colore verde-azzurro, sono lunghe 2-3 cm. Arrivavano in farmacia intere per evitare sofisticazioni. Dopo aver controllato con opportuni saggi che non fossero esaurite con solventi, si polvenizzavano in mortaio usando le dovute cautele. Mi raccontava ancora lo stesso amico che per la cura delle affezioni urinarie era pratica di comune uso somministrare agli animali un decotto di radice di panietaria (il diffuso variol da muro). Nelle affezioni delle vie respiratorie degli equini invece si procedeva così: si introduceva in un sacco di iuta un secchio con braci sul fondo, vi si gettava sopra una manciata di bacche di ginepro e si legava l'imboccatura del sacco attorno al muso del cavallo. Rimane ancora da dire che talvolta le formule non solo erano particolari di una determinata farmacia, ma erano anche destinate ad un determinato cliente: erano, come si dice con un neologismo, personalizzate. Riporto qualche esempio: "Unguento antiemorroidanio De Carlo", formula esclusiva per il Comm. Camillo De Calo, nota personalità serravallese, M.O. del '18, Podestà di Vittorio dal 1931 al 1938. Prevedeva ben 10 componenti la "Crema imbiancante peli del viso ma", prototipo dei tanti prodotti cosmetici oggi reperibili in farmacia. E si 119 potrebbe continuare. Naturalmente non tutte le preparazioni erano eseguite dal titolare: per le più comuni egli pesava i farmaci ed assegnava il compito ad un inserviente che sorvegliava di tanto in tanto. Perché era suo compito quasi giornaliero intrattenersi con le persone amiche e di una certa posizione sociale all'interno della farmacia, beninteso centellinando la china di sua formula ed aprendo sulla scrivania il vaso delle caramelle balsamiche, di preparazione anche queste. D'inverno si dava da annusare il mentolino posto sul dorso della mano ed intanto si scambiavano impressioni sui fatti di rilievo. Nei piccoli paesi poteva avvenire che nel retro della farmacia prendessero corpo le decisioni di pubblico interesse. Di certo non era compito del farmacista di allora preoccuparsi di questioni amministrative. I pochi movimenti di stupefacenti si registravano una volta al mese e poche erano le voci. Registri fiscali non esistevano; non c'erano IVA, partite doppie, prime note. Ma se non erano i compiti amministrativi ad assillare il farmacista di allora, era invece per lui un bel grattacapo la riscossione dei crediti, dal momento che i pagamenti differiti erano assai numerosi. E ciò non tanto per propensione all'insolvenza da parte della gente del popolo, quanto per la limitata disponibilità di danaro e solo in pochi momenti dell'anno. Per far valere i propri diritti, dopo un po' d'anni, occorreva chiamare in aiuto la legge. Nella soffitta della mia vecchia farmacia vi era una cesta di citazioni: ne ho conservate alcune, sarebbe curioso prenderne visione. Riferisce ad esempio un "Atto di citazione per biglietto" che ad istanza del farmacista Alessandro Garolla (mio predecessore di allora), il sottoscnitto usciere addetto all'Ufficio del Giudice Conciliatore di Vittorio, tale A. Dal Mas, cita la Sig.ra De Nardi Maria vedova Piccin detta Paja, domiciliata a Savassa, a comparire personalmente, o col mezzo di procuratore munito di regolare mandato, davanti al Regio Giudice Conciliatore di Vittorio nel giorno 29 Sett. 1900, alle ore 8 antim., per rispondere sul "pagamento di L. 25,30 in causa residuo medicinali somministrati a tutto l'anno 1894. Rifuse le spese". Non tralasciando di avvertire il biglietto medesimo che, mancando di comparire le parti un'ora dopo quella stabilita, "avrà luogo il giudizio, il quale sarà di ragione contro il contumace a sensi e per gli effetti dell'Art.". Ricordiamoci di essere da poco entrati in una vecchia farmacia, rivolgiamo ora la nostra attenzione al banco: vi vediamo un paio di bilancine sempre in funzione ed accanto, in posizione privilegiata, data la frequenza d'uso, la bottiglia dell'olio di ricino, dalla classica forma con gocciolatoio e tappo smerigliato. E a fianco di questa, in analoghi recipienti, l'olio di mandorle e la cosiddetta "vermolina" (essenza di chenopodio in olio di ricino) dal piacevole color rosso (finche non si assaggiava, poi passava anche il piacere di guardarla). Ecco qui lo spunto per un'ulteriore considerazione sull'evo- 120 luzione del costume: oggi nell'allestimento delle forme farmaceutiche si mira alla cosiddetta "compliance" del paziente, poiché si ritiene che l'assunzione gradita influenzi favorevolmente la terapia; ieri per l'effetto psicologico si ricercava il gusto o la via di somministrazione spiacevole, perché era ovvio che un vero beneficio non si poteva avere se non con sacrificio. Tutt'intorno al banco, in vetninette, trovavano posto i classici vasi di porcellana con la scritta in oro e le bottigliette degli estratti fluidi e delle tinture. E nei cassetti, a portata di mano, le sostanze più frequentemente richieste: - farina di lino e di senape, usate per la preparazione dei famosi cataplasmi; - solfato di magnesio, detto "Sal canal" o "Sal da puine", a seconda dell'uso catartico o caseario (fa floculare le albumine del siero di latte) che se ne volesse fare; - solfato di sodio, detto, ma in termini più rustici, "sale da maiali", di elettivo uso veterinario, ma spesso usato sempre a scopo catartico anche dagli esseri umani, perché considerato più drastico; - sale di Kalsbad (dalla celebre città termale boema, oggi Kalovivary), detto popolarmente "sal de sgarba", sempre solfato di sodio, ma in cristalli grossi, dotato, secondo tradizione, di proprietà depurativa del sangue. Si vende tutt' ora, solo che oggi, ahimè!, è ottenuto artificialmente, mentre fino a tempi non tanto lontani arrivava proprio da Karlsbad o dalla vicina Manienbad. In quelle terme e con quel sale si ritempravano il corpo e lo spirito Pietro il Grande di Russia, Maria Teresa d'Austria e Giuseppe Il, imperatore illuminista. E restando in tema, dal momento che l'intestino dopo il cuore era ed èl'organo che merita maggior attenzione: polpa di tamarindo, polpa di cassia, semi di lino, foglie di sena, manna, manna con sena, infuso di Vienna, polvere di liquirizia composta, limonata citromagnesiache, magnesia semplice o effervescente e qui ti voglio, perché quell"effervescente" era un termine solo per gente colta, altrimenti suonava come "servesente, fosforescente, spumante"; una volta mi son sentito dire "sfisiante", ma la locuzione di gran lunga più usata era e talvolta ancora è: "magnesia, anzi manesia, de quea che boie" e "manesia de quea che no boie". E poi unguenti vari: vaseline saliciliche, glicerolato d'amido, ittiolo in varie percentuali, unguento populeo (preparato con gemme di pioppo macerate, per le emorroidi), unguento di belladonna, jodurato, stibiato, mercuriale, fino al famoso, tutt'ora di lago impiego e di sicura efficacia in veterinaria, unguento solfo-alcalino di Helmenich contro la scabbia (o rogna). Mi riferisce mio padre che negli ultimi anni di guerra e nei primi del dopoguerra era tale la richiesta che doveva prepararlo all'esterno in caldaia da bucato. Questi son solo alcuni esempi, ma prima di chiudere è doveroso un accenno ad un presidio terapeutico di grande tradizione: la Sanguisuga o 121 Mignatta o Hirudo medicinalis, da cui il nome altisonante di irudoterapia dato a tale pratica. Per le modalità di applicazione val la pena di consultare un vecchio compendio dei medicamenti, il Medicamenta IV edizione anno 1933 pag. 2542, il quale recita: "Per applicare le sanguisughe, si tolgono dall'acqua, si asciugano con un pannolino fino, poi si pongono in un piccolo bicchiere che si capovolge in modo che la bocca del bicchiere adenisca alla pelle. Se la parte del corpo non permette l'applicazione del bicchiere (gengive, collo uterino), si ricorre allora a tubi speciali, un po' appuntiti ad un estremo. Vi si introduce la sanguisuga per l'apertura grande e si costringe ad uscire con la testa dall'apertura più piccola, spingendola dolcemente con una bacchetta di vetro. Per eccitare le sanguisughe venne consigliato di bagnare la pelle con latte zuccherato, oppure di strofinarla con sugna di maiale. Meglio senz'altro pungenla, onde gema qualche gocciolina di sangue: ivi le sanguisughe si attaccano facilmente. È molto in uso anche bagnare d'aceto o d'altra cosa disgustosa per le sanguisughe il fondo del bicchiere, perché esse fuggendo-ne, si fissino alla cute su cui poggia l'orlo. Le sanguisughe che hanno già servito si devono gettare. L'impiego di sanguisughe, che già servirono a cavar sangue, fu spesso causa di contagio di malattie". Non meravigli quest'ultima raccomandazione, poiché era costume diffuso recuperare le sanguisughe ponendole sulla cenere calda del focolare, affinchè nigettassero il sangue appena succhiato. Un'occhiata al retro farmacia fa sì che ci colpisca l'abbondante strumentazione tanto usata in passato: vetreria d'ogni tipo, montai d'ogni grandezza, stampi in ottone per ovuli e supposte, stufette e bagni-maria in rame, percolatori e piccoli torchi per l'estrazione di droghe vegetali. Attira la nostra attenzione un curioso strumento in legno ed ottone: la pilloliera, una tavoletta dotata di opportuni accorgimenti, portante uno stampo a nicchie. Per la preparazione delle pillole si procedeva così, con eccipienti adatti si creava una massa molle contenente i principi attivi, si dava a tale massa la forma di un lungo cilindro detto "maddaleone" (dal greco magdalià, pallina di mollica di pane che gli antichi greci solevano formare per detergersi le dita dopo i banchetti), il quale, steso sullo stampo di ottone, veniva suddiviso in tante parti quant'erano le nicchie sovrapponendo il controstampo. Alle singole frazioni si dava poi forma sferica, come vuole l'etimologia del nome pillola, plasmandole tra due dita. Per evitarne l'adesione, le pillole venivano infine rivestite con polvere di liquirizia di color giallo-oro; di qui il modo di dire traslato: "indorare la pillola". Spicca tra la vetreria un singolare apparecchio di vetro a tre camere sferiche sovrapposte e opportunamente comunicanti tra loro, l'apparecchio di Kipp, dal nome dell'inventore, un chimico olandese dell'800. Classico esempio di strumento di farmacia, considerata come laboratorio chimico per 122 la sintesi di farmaci, consente la produzione di sostanze gassose, principalmente acido solfidrico, noto per il caratteristico odore d'uova marce. Grazie ad una procedura di ingegnosa semplicità, permette di ottenere una corrente regolabile ditale gas e di preparare in tal modo la cosiddetta soluzione solfidrica, usata in passato come antidoto negli avvelenamenti da sali di metalli pesanti (Arsenico, antimonio, piombo, mercurio), dando, con questi, solfuri insolubili in acqua e nell'acido cloridrico gastnico. Non sorprenda questa necessità, dato il largo uso in terapia di composti di arsenico, del suddetto tartaro emetico contenente antimonio; quanto al piombo, più d'uno avrà certo ingerito la famosa acqua vegeto-minerale, scambiandola per latte. Rimanendo in tema, ricordiamo che il capitolo dei piccoli avvelenamenti domestici (e non sempre piccoli), dovuti a distrazione o imprudenza, era una volta assai ampio. Consideriamo che non esistevano recipienti a perdere e le disparate bottiglie venivano accantonate e niusate, restando il contenuto individuato dal luogo dove venivano poste. I liquidi scambiati non erano per lo più latte, ma vino e acquavite, sostanza quest'ultima di pronto intervento ne~ vari malesseni spesso notturni. Ricordo,tra disavventure del genere occorse a miei clienti: un'ingestione di acqua ragia, di soluzione di DDT (venduta in farmacia dietro richiesta di "Flit" per il noto strumento a stantuffo), e più d'una di ipoclorito, la "vaechina", un classico. Abbiamo in precedenza nominato un celebre prodotto, l'elisir di china, la cui preparazione ogni farmacista curava con particolare impegno, sia per la vendita, sia per l'uso interno, nella consapevolezza che tale prodotto era tra quelli che più definivano l'immagine della sua farmacia. Ogni farmacia si tramandava una sua formula, aggiustata secondo il criterio e la sensibilità del titolare, poichè molte sfumature sono possibili di contorno alla base, che è l'impiego della corteccia dell'albero della china, pianta questa tra le più benemenite della salute dell'umanità. Noi la conosciamo e l'apprezziamo perché ci concede una bevanda gradevole, dall'azione eupeptica, tonica e stimolante, ma dimentichiamo che ci dà innanzitutto due principi fondamentali in terapia: la chinina e la chinidina. 11 primo, la chinina, di enorme importanza storica come antimalarico e antipiretico ed ancora attuale perché efficace nell'85% dei casi di malaria da Plasmodium falciparum (là terzana maligna) resistente alla clorochina, (la malaria che ha causato i recenti decessi fra i turisti del Kenia). Il secondo, la chinidina, o i suoi derivati, tuttora di primaria importanza nella terapia delle aritmie cardiache, dalle extrasistoli alle fibrillazioni. accade invece per l'inchiostro, ma deriva dal termine dell'idioma quechua "Quina-quina" con cui gli indios andini indicavano questa pianta, di cui conoscevano le proprietà febbnifughe. L'habitat originario del genere Cinchona nelle sue varie specie è infatti la zona andina equatoriale corrispondente agli alti bacini del Rio delle Amazzoni e dell'Oninoco. Per l'insufficiente produzione spontanea la pianta fu introdotta nel Camerun, a Ceylon e a Giava e qui coltivata su larga scala con innesti e studio di ibridi. Purtroppo gli indios andini han trovato più remunerative colture.

Source: http://www.prealpitrevigiane.it/immagini/pubb_flaminio6-8.pdf

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