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IL PAESE DEL FUTURO È QUELLO CHE INVESTE SU DONNE E LAVORO, DI VALERIA FEDELI
Eccoci all’8 marzo. E vorrei dicessimo, anche oggi, a voce alta, dai tanti luoghi in cui ci siamo date appuntamento, che devono cambiare le politiche che ci hanno portato alla crisi emarginando le donne. Le donne vogliono lavorare, fare figli, essere in una società che investe sulle competenze delle giovani donne. Progettare con l’innovazione, creatività, visione nuova, il futuro del Paese. Il cambiamento reale parte dal lavoro delle donne. Il pane e le rose. Il lavoro e la vita! Hanno spesso detto le donne nelle piazze in questa giornata internazionale. Senza il lavoro delle donne, o con lavoro precario a lungo, non si fanno figli. Senza investire nel welfare, non c’è condivisione. E così si spreca l’opportunità di darci futuro a tutti. So che ormai l’8 marzo è diventato, anche tra donne, un giorno di discussione, con chi continua a viverlo come un momento simbolico decisivo per segnare il passo delle nostre battaglie e chi, soprattutto tra le ragazze più giovani, avverte un crescente distacco da simbolismi percepiti come vecchi e consumistici. Ma prima ancora delle proposte concrete c’è necessità di un atto di rottura culturale, che scopra il velo di ipocrisia, smascheri la finta neutralità del linguaggio, smetta di osservare i problemi singolarmente, sperando così di sminuirne la portata. Parlarne per agire! Dobbiamo disvelare tutti i pregiudizi e le discriminazioni verso le donne: verso il corpo delle donne, verso i lavori delle donne, retribuiti e quelli non retribuiti, verso il ruolo che le donne svolgono nella società, per il mantenimento del benessere di tutti, per lo sviluppo e la crescita sociale ed economica del paese. Abbiamo fortunatamente chiuso l’infinita epoca berlusconiana, ma l’epilogo triste e poco edificante dello spettacolo che ci ha offerto l’ex premier ha rimosso un ostacolo all’avvio della risoluzione del problema, ma il problema è ancora lì. Le donne sono quelle che più hanno pagato la crisi, le lavoratrici quelle che più subiscono la precarietà, le ragazze quelle che più faticano a trovare lavoro, tutte, a parità di impiego, guadagnano meno degli uomini. Il lavoro delle donne (e dei giovani) è invece la priorità per uscire dalla crisi e far ripartire il Paese. Perché il lavoro delle donne significa qualità, rispetto, regole, conciliazione dei tempi privati e di impegno professionale, dignità per ogni persona che lavora, servizi e infrastrutture che migliorino le condizioni di vita per ogni cittadino. Come ha ricordato lo scorso 8 marzo il Presidente Napolitano “la parità di genere non riguarda solo le donne, così come le battaglie per dare a tutti i cittadini una vita decorosa non riguardano solo i poveri, le lotte per la libertà politica non sono esclusiva dei dissidenti, quelle per la tolleranza non toccano solo le minoranze. Sono e devono essere cause comuni che coinvolgono chiunque assuma come propri i valori democratici.” Oggi invece, nell’Italia democratica del 2012, viviamo il paradosso percui lavoro e maternità sono divenuti inconciliabili. Continuiamo, in netta contraddizione con tutte le indicazioni legislative, di legalità e di civiltà del Paese , a vedere praticata la richiesta di dimissioni in bianco. Così tante donne rinunciano a fare figli, o vivono questa scelta in modo sofferto e poco sereno. E tantissime, come segnala l’Istat, dopo il primo figlio non rientrano a lavoro. E se in gioco ci sono denatalità e uscita delle donne dal lavoro rischiamo il nostro futuro. Ecco perché mi viene ancora da dire Se Non Ora Quando? Se non ora che c’è un governo che ci ha restituito serietà e autorevolezza e che si propone di rispondere al bisogno di cambiamento, di equità, di modernizzare del Paese? Ora che si discute la riforma del mercato del lavoro. Ora che quella discussione la guidano donne? Ci è capitato, quando si è insediato Monti, di concedere al governo, proprio sul tema del lavoro delle donne e del suo impatto sulla crescita e sul cambiamento del Paese, un’apertura di credito. Ero e continuo ad essere ottimista sulle accelerazioni che questo anno può determinare nel migliorare la condizione femminile. Ma il momento di agire è ora. Non perchè oggi è l’8 marzo,ma perchè già ieri, già un mese fa, già un anno fa eravamo in ritardo. Serve ora u npiano straordinario per il lavoro in Italia e in Europa. Serve ora investire in qualità e innovazione delle scelte di produzione e di servizi, serve ora investire nell’welfare riformato che includa donne, giovani e meno giovani. Serve ora il congedo di paternità. Serve ora una rinnovato investimento nella scuola e nella formazione per costruire alla radice una cultura della differenza tra donne e uomini per avere una società civile che rispetti le donne. Serve ora contribuire a rompere tutti gli stereotipi che assegnano a donne e uomini i ruoli nel lavoro e nella vita. È ora che si consideri la condivisione e l’equilibrio tra lavoro, tempo personale e tempo familiare come investimento culturale e produttivo per il futuro di tutti. Le donne sono la parte del Paese che vuole cambiamento per se, a cui serve il cambiamento e per questo spingono all’innovazione e al benessere per tutti. Quello che serve alle donne, fa stare meglio anche gli uomini e fa avanzare l’Italia. Buon 8 marzo, allora, e buon lavoro a tutte e a tutti La Repubblica

Cosa resta dopo cent´anni della festa della donna di Benedetta Tobagi
Rito stanco o necessità? Ecco perché questa data può avere significato solo se evolve la
società: dai diritti alle nuove regole contro lo stalking
Nonostante la vestissero di giallo, colore disimpegnato, era una ricorrenza "rossa" legata al
movimento operaio
Il tema della violenza si accende in occasione di delitti atroci, ma poi sprofonda nel buio e
l´interesse vive meno di un rametto di mimosa
Che odio, la mimosa: non profuma, avvizzisce in tempi record e dissemina pallini e pelucchi
gialli dappertutto. Tanto è emozionante vederla fiorire sul suo albero come una macchia di
luce nel paesaggio, tanto è triste trovarla intrappolata nel cellophane sui banchetti o nei vasi
vicino alla cassa dei supermercati. Ridotta a un "brand", venduta per un giorno a prezzi
irragionevoli, la mimosa rappresenta bene tutto ciò che nell´8 marzo è da buttare, dagli
orpelli del marketing a quanto di rituale e di stantio, come ogni celebrazione, si porta dietro.
E pensare che nel 1946 le rappresentanti romane dell´Unione Donne Italiane la scelsero
quasi per caso, e soprattutto per risparmiare. Le rose, invocate insieme al pane nei cortei
delle femministe americane a partire dal 1908, erano troppo costose; in cerca di un simbolo
diverso dallo storico garofano rosso per caratterizzare in modo immediato la festa delle
donne, si risolsero per questa fioritura di stagione, assai comune tra Roma e i Castelli:
accessibile, allegra e a costo zero. Nonostante la vestissero di giallo, colore politicamente
disimpegnato, l´8 marzo era una festa decisamente "rossa", legata a doppio filo al
movimento operaio. Dopo una prima edizione solo statunitense, la Festa della donna nacque
ufficialmente nel 1910 a Copenhagen, con una mozione presentata da Clara Zetkin alla II
Conferenza internazionale socialista: per promuovere la causa del voto alle donne e «l´intera
questione femminile espressa dalla concezione socialista». Meno chiaro da dove esca la data
dell´8 marzo. Nel saggio 8 marzo. Storie miti riti della giornata internazionale della donna, le
studiose Tilde Capomazza e Marisa Ombra precisano che fu fissata solo nel 1921, alla
seconda Conferenza delle donne comuniste di Mosca, in memoria della grande
manifestazione delle operaie contro lo zarismo che si era svolta in quella data nel 1917. A
partire dagli anni Cinquanta, tuttavia, si diffondono vulgate che "cancellano" la genesi
moscovita, legando l´8 marzo al vivace movimento statunitense d´inizio secolo per i diritti
delle lavoratrici, e in particolare – nella tradizione del "martirologio" (in palese analogia con il
Primo Maggio, anniversario dei "martiri di Chicago") – al tragico incendio del marzo 1911 alla
Triangle Shirt Waist Company di New York, in cui morirono orribilmente 146 operai, di cui
ben 129 erano donne giovanissime: non poterono mettersi in salvo perché i padroni le
tenevano chiuse a chiave nei capannoni per evitare che si allontanassero. L´incendio in realtà
ebbe luogo a fine marzo, ma nella pubblicistica divenne il mito fondativo della giornata della
donna: forse anche, suggeriscono Ombra e Capomazza, per attenuare i caratteri sovietici e
comunisti della ricorrenza. Un dato è certo: l´8 marzo, comunque l´abbiano scelto, nasce
come festa delle donne lavoratrici. Nei decenni ha perso gran parte di questo carattere
"sindacale". Eppure, il lavoro femminile continua a essere un campo di abusi e sperequazioni. Se la mimosa si può tranquillamente cestinare, vale invece la pena di rinverdire questo spirito delle origini. Tanto più oggi: nel pieno delle difficili trattative sulla riforma del lavoro, nel paese in cui, per la nostra vergogna, a un secolo esatto dall´incendio della fabbrica di camicie newyorkese, cinque donne sono morte nel crollo di un laboratorio di confezioni a Barletta, dove lavoravano in nero per 4 euro l´ora, ben venga un 8 marzo vintage, la cui agenda rimetta al centro la tutela delle lavoratrici. «Le nostre mimose sono progetti di legge», affermava la senatrice socialista Elena Marinucci nel 1980. A fine febbraio ha cominciato a circolare l´appello di 14 donne che chiedevano il ripristino della legge contro la piaga delle lettere di dimissioni in bianco di cui si abusa per licenziare le donne in caso di gravidanza, cancellata dall´ultimo governo Berlusconi: perché, per cominciare, come prima "mimosa di legge" non ci restituite la legge 188/2007? A partire dagli anni Settanta, l´8 marzo si trasforma profondamente, ingloba le istanze del femminismo e smette di essere una festa solo di sinistra. Cresce, si allarga e, secondo alcune, si annacqua: arrivano le prime denunce dalle femministe più agguerrite che ne invocano l´abolizione. Parallelamente, nel 1975 la ricorrenza dell´8 marzo ottiene dalle Nazioni Unite la consacrazione ecumenica. Proprio un richiamo dell´Onu ci indica l´altro grande tema da porre in agenda per l´8 marzo: la violenza. Dopo una missione conoscitiva in Italia lo scorso gennaio, la relatrice speciale dell´Onu per la violenza contro le donne, Rashida Manjoo, ha espresso allarme per la pervasività della violenza domestica, quasi mai denunciata e spesso nemmeno percepita come reato, e la crescita dei femminicidi per mano del partner o di un ex dal partner o da un ex: dalle 101 donne uccise nel 2006 si sale alle 127 del 2010. La nostra settimana della Festa della donna è cominciata con due episodi atroci: a Brescia un uomo ha ucciso la ex compagna, sua figlia e i rispettivi partner; un altro, nel veronese, ha strangolato la moglie perché sospettava lo tradisse. Il tema della violenza sulle donne si accende come un bengala in occasione di delitti atroci come questi e poi sprofonda nuovamente nel buio. L´interesse pubblico vive meno di un rametto di mimosa. Se la festa dell´8 marzo garantisce un giorno in più di attenzione a questa tragedia che si consuma nel silenzio, basta già questo a giustificare la sua sopravvivenza. La Stampa

RAGAZZA MIA, FIGLIA IMMAGINARIA, di MARIELLA GRAMAGLIA
GESÙ ALLA TUA ETÀ AVEVA GIÀ FATTO MOLTO. ANZI, TUTTO. PERCHÉ PURTROPPO NON
L’HANNO LASCIATO CONTINUARE.
TU INVECE PENSI DI NON AVER FATTO NIENTE. EPPURE - NON CI CREDERÀ LA MINISTRA
CANCELLIERI - SEI PARTITA PER L’ERASMUS A MADRID CHE MI SEMBRAVA AVESSI ANCORA LE
SPALLE TROPPO PICCOLE PER LO ZAINO CHE REGGEVI. POI LONDRA PER TRE ANNI, FELICE CHE LÌ
LE BIBLIOTECHE RIMANESSERO APERTE TUTTA LA NOTTE. AL RITORNO UN LAVORO
IMPORTANTE A MILANO IN UN’AZIENDA CHE DOVEVA LANCIARE IL DESIGN ITALIANO NEL
MONDO. «APRIREMO UN NEGOZIO A ISTANBUL E UNO A SHANGHAI» - MI DICEVI CON GLI
OCCHI BRILLANTI. PECCATO CHE L’AZIENDA SIA FALLITA DOPO UN ANNO. ALLORA SEI TORNATA
DALLA MAMMA, PER SEI MESI CON IL SUSSIDIO DI DISOCCUPAZIONE. MA SEI UNA
COMBATTENTE: ORA HAI UN ASSEGNO DI RICERCA IN UN’UNIVERSITÀ DEL PROFONDO NORD-
EST. TE LO RINNOVANO OGNI SEI MESI E NOI, A GIUGNO E A DICEMBRE, INCROCIAMO LE DITA
FINO AI CRAMPI.
IO ALLA TUA ETÀ AVEVO DUE FIGLI. ANCHE A TE NON DISPIACEREBBE. MA NIENTE CONTRATTO
A TEMPO INDETERMINATO NIENTE MUTUO, NIENTE MUTUO NIENTE FINE DELLA COMUNE
OBBLIGATA CON LE TUE SORELLE DI AVVENTURA, NIENTE CASA CON UN PO’ DI PRIVACY NIENTE
BAMBINI.
A ROMA LA PRIMAVERA GIÀ TRIONFA E IL PROFUMO DI MIMOSA TI ASSALE DA OGNI GIARDINO.
EPPURE NON CI SONO CORTEI DI RAGAZZE RIDENTI QUEST’ANNO, NIENTE BALLI, NIENTE FIORI
TRA I CAPELLI.
IO CREDO DI SAPERE PERCHÉ. QUALCOSA RIBOLLE SOTTO LA SUPERFICIE DELL’ACQUA,
QUALCOSA CHE NON SI ADDICE A UNA FESTA. CHE SOMIGLIA A UN’ATTESA, A UNA SPERANZA
CONTEGNOSA, MA ANCHE A UNA RABBIA POSSIBILE.
A VOLTE OSSERVO - DA CHE È COMINCIATO IL TAVOLO DI CONFRONTO SUL MERCATO DEL
LAVORO ED È TORNATA IN AUGE UN’OMBRA DI UNITÀ SINDACALE LA RUVIDA VITALITÀ DI
SUSANNA CAMUSSO IN MEZZO A UN GATTO E UNA VOLPE DAL PELO GRIGIO. COSA MAI
POTRANNO DIRE A TUO NOME? ESERCITANO QUALCHE VOLTA L’IMMAGINAZIONE SU DI TE? A
UNA TRASMISSIONE TELEVISIVA HO VISTO UNA RAGAZZA DELLA TUA ETÀ GUARDARE COME
DUE MARZIANI UN DIRIGENTE SINDACALE E UN DEPUTATO CHE SI AZZANNAVANO
SULL’ARTICOLO 18. OGNI TANTO LEI, CON L’AIUTO DELLA CONDUTTRICE, SI FACEVA LARGO A
FATICA E CERCAVA DI SPIEGARE CHE ASPIRAVA A MOLTO MENO, A UN CONTRATTO DIGNITOSO,
MAGARI - NON OSAVA QUASI IMMAGINARLO - PER DUE ANNI. LORO LA ASCOLTAVANO
EDUCATI PER UNA MANCIATA DI MINUTI, COME DUE PUGILI CHE FANNO PAUSA SUL RING, E
POI TORNAVANO AD AZZANNARSI.
MANTENGO UN PO’ DI FIDUCIA IN QUESTO GOVERNO CHE NON STRILLA E PARLA CALMO,
FINALMENTE IN ITALIANO. ANCHE PERCHÉ NON DIMENTICO LA TUA RABBIA QUANDO TEMEVI
CHE RUBARE I CUORI DEI POTENTI FOSSE L’UNICO MESTIERE DI SICURO AVVENIRE PER UNA
RAGAZZA. E QUALCUNO ORA TI ACCUSA DI MORALISMO.
PERÒ LO DEVONO CAPIRE CHE TU HAI FRETTA. SONO COLTI QUEI MINISTRI, SAI, SANNO UN
SACCO DI COSE. SANNO CHE SE TU AVESSI UN LAVORO SERIO AUMENTEREBBE IL PIL DEL
NOSTRO PAESE, CHE SE POTESSI FARE QUEI DUE BENEDETTI BAMBINI SE NE GIOVEREBBE
L’EQUILIBRIO DEMOGRAFICO, CHE SE RIPRISTINASSERO UNA LEGGE CONTRO LE DIMISSIONI IN
BIANCO CI FAREBBERO VIVERE IN UN PAESE PIÙ CIVILE.
PERCHÉ FANNO TANTA FATICA A VEDERTI? FORSE PERCHÉ NESSUNO SI SIEDE PER TE AL TAVOLO
DI PALAZZO CHIGI? E ALLORA FATTI SENTIRE RAGAZZA, MI RACCOMANDO. IN TUTTE LE FORME
CHE CREDI. MA SENZA FAR MALE A UNA MOSCA, PER CARITÀ. QUESTO PAESE HA BISOGNO DI
CURE. ANCHE DELLE TUE.

IL MESSAGGERO
L’OCCUPAZIONE AL FEMMINILE PUÒ SPINGERE IL PIL DEL 4%
DI BARBARA CORRAO
Non è più solo una questione di genere, né di legittima rivendicazione. Molto più concretamente, la disuguaglianza tra i sessi è una questione di crescita. Cioè di Pil e di ricchezza nazionale. Lo dice la Banca d’Italia, lo osservano Banca mondiale e Ocse. E fa un certo effetto salire lo scalone che porta nella sala in cui il governatore, il 31 maggio di ogni anno, tiene le sue «Considerazioni finali» ed entrare nel tempio riconosciuto della Finanza, settore difficile da penetrare per le donne, per ascoltare frasi come questa: «C’è l’urgenza di istituire e attuare meccanismi di limitazione della presenza maschile al potere, specie quando avviene attraverso meccanismi di cooptazione, soprattutto nella politica e nell’economia, come in tutte le istituzioni visti i risultati». A parlare è Linda Laura Sabbadini, direttrice del Dipartimento statistiche sociali dell’Istat. Dopo il saluto di Ignazio Visco, il suo è il terzo intervento del convegno su «Le donne e l’economia italiana», organizzato e ospitato a Palazzo Koch. La banca centrale ha messo a disposizione i suoi cervelli migliori, molti dei quali femminili, per indagare a tutto campo sul Fattore D. Lo rileva Anna Maria Tarantola, vice-direttore generale, che spiega come a palazzo Koch il «20% dei dirigenti oggi siano donne contro il 15% nel 2002. Forse ancora poche ma in rapida crescita». «Ridurre il differenziale tra uomo e donna afferma Alessandro Rosina, docente di demografia alla Cattolica di Milano porterebbe ad un aumento del Pil del 4%». L’ex ministro Mara Carfagna, in ottobre, aveva ipotizzato il 7% se l’Italia avesse centrato l’obiettivo del Trattato di Lisbona, con un tasso di occupazione femminile del 60% (Francia e Germania lo hanno già raggiunto e superato). Siamo invece fermi al 46% e, limitandosi al solo settore privato, il dato scende al 30%. Il gap tra salari femminili e maschili si aggira in media intorno al 5-8% grezzo ma sale al 13,8% includendo le caratteristiche del lavoratore. Una dato cresciuto e non diminuito negli anni. Non è in gioco solo la quantità: «Non consola dice ancora Sabbadini sapere che l’incidenza delle donne al vertice delle banche aumenti dal 2 al 7 per cento visto che questo risultato si ottiene nell’arco di 15 anni», cioè tra il 1995 e il 2010. Di questo passo, ci vorrebbero 120 anni infatti per arrivare al sospirato fifty-fifty. E ne servirebbero una sessantina, ha stimato Roberta Zizza di Bankitalia, per raggiungere la parità nella divisione del tempo dedicato ai carichi domestici. La ragione del gap al vertice sembra risiedere nel fatto che le donne sono più prudenti degli uomini mentre nei posti di comando il rischio è determinante per il successo. Ma allora, la prudenza femminile avrebbe potuto rappresentare, conclude Sabbadini, «un fattore di contrasto della crisi finanziaria del 2008. Da qui la domanda: What if Lehman Brothers had been Lehman Sisters?». Ovvero, cosa sarebbe successo se i Fratelli Lehman fossero stati le Sorelle Lehman? Domanda impegnativa. E d’altra parte, proprio la crisi ha aggravato la posizione delle donne (e dei giovani) in Italia, comprimendo il già basso tasso di occupazione. Cosa fare allora? Quali politiche si possono adottare per spingere la presenza femminile nell’economia? L’economista Daniela Del Boca chiede «una sinergia di azioni per accelerare i tempi: partendo dall’istruzione, si può pensare ad un incentivo alle ragazze che vogliono fare un percorso tecnico scientifico, come negli Usa. Sarebbe poi utile ripristinare la legge sulle dimissioni in bianco, rendere obbligatorio il congedo di paternità e prevedere congedi part time per redistribuire il carico familiare. O ancora spalmare l’investimento pubblico nella scuola includendo anche gli asili nido». L’Unità
«Uomini unitevi a noi è una battaglia di civiltà» intervista a Cristina Comencini di Mariagrazia Gerina
«Dopo Se non ora quando anche il senso di questa giornata è cambiato. Nel mio spettacolo “Libere” due
generazioni ritrovano la forza di ribellarsi»
Omaggio alle donne italiane e a quello che devono affrontare ogni giorno, Libere, il dialogo militante
scritto da Cristina Comencini – interpretato da Isabella Ragonese e Lunetta Savino -, dopo aver fatto il giro
dell’Italia con la formula «ingresso gratuito, dibattito obbligatorio» approda oggi, in occasione dell’8
marzo, al Quirinale, portandosi dietro una ventata delle speranze e delle attese che hanno percorso Se non
ora quando. «Un effetto lo abbiamo ottenuto: non si fa che parlare di donne, ormai. Persino Bankitalia
quest’anno ha dedicato all’8 marzo una tavola rotonda», suggerisce da regista di Libere e da madrina di
quella piazza, Cristina Comencini:
«Noi però vorremmo che oltre a parlare di noi, questo Paese facesse qualcosa.».
Cosa dovrebbe fare per le donne? «Lavoro, si comincia da lì. Siamo agli ultimi posti in Europa per tasso di occupazione femminile. E poi welfare. Perché se chiedi alle donne di lavorare di più e per più tempo allora devi anche pensare che per i bambini, che sono sia del padre che della madre ed è importante ripeterlo, soprattutto al Sud non c’è nulla. È tutto da costruire: gli asili, il tempo pieno. Terzo: democrazia paritaria. L’anno prossimo ci saranno le elezioni. Quindi: spazio alle donne. Lo dico rubando una battuta a Linda Laura Sabbadini, che da anni cura le indagini Istat sui tempi di vita delle donne: se Lehman Brothers si fosse chiamato Lehman Sisters forse non saremmo a questo punto». Lo spettacolo che oggi porterai al Quirinale racconta due donne di diverse generazioni: libere. In che senso? E le donne in Italia possono davvero sentirsi libere? «Certo, lo sono molto più di prima. Ma ti faccio rispondere dalle due donne del dialogo. La più grande appartiene alla mia generazione e ha una storia di libertà che si è costruita dentro il movimento delle donne,ma sente che di quella libertà che lei ha dentro non c’è più traccia nel mondo in cui vive. La più giovane non ha conosciuto quello stare insieme ed è scettica, ha molta rabbia. Voi ci avete educato alla libertà - dice a un certo punto -ma nel mondo in cui ci avete mandato non è cambiato nulla, avete lasciato tutto a metà. Poi però tra le due si forma un feeling, una comprensione molto forte.». Finisce che si scambiano anche l’email. dici che l’hanno usata? «Quello spettacolo l’ho scritto due anni fa,ma se pensi a Se non ora quando direi che, nel frattempo, le donne italiane di tutte le generazioni si sono scritte milioni di email. Il mondo delle donne si è messo in moto. Anche l’8marzo ha riacquistato una sua centralità. Se pensi che un paio di anni fa ci domandavamo se avesse senso scambiarsi le mimose.» A chi o a cosa dedicheresti questo 8 marzo? «Lo dedicherei alla forza che le donne si sono riprese. Una forza di legame, di cittadinanza. Una forza che anche le giovani donne spero che possano tirare fuori». Forti, libere. Però poi le donne continuano ad essere vittime spesso dei loro stessi uomini. È cronaca di questi giorni, una serie terribile di femminicidi dall’inizio dell’anno. «La violenza sulle donne è tutt’oggi un fatto planetario e se è planetario vuol dire che c’è un ’ordine simbolico fondato di fatto sulla coppia vittima- carnefice. Per scardinarlo bisogna parlarne tanto, ragionare sul modo in cui vengono rappresentate le donne, perché è lì che si annida la radice della violenza. E occorre coinvolgere in questo lavoro gli uomini, dare loro quella parola che su questi argomenti fanno così fatica a prendere. L’idea che la donna sia sempre di qualcuno, fidanzata, moglie, è terribile. E poi: si può sentire parlare ancora di delitto passionale?» Qualcuno suggerisce che strappare quell’aggettivo dal vocabolario è un bel modo di festeggiare l’8 marzo. «Sono d’accordo». C’è un augurio in particolare che si può fare alle donne? «Non farsi sopraffare dalle situazioni difficili che devono affrontare ogni giorno e non far spegnere la forza che hanno ritrovato nello stare insieme. La forza e la libertà di cui parlavo sono conquistabili e devono saperlo tutte le donne, soprattutto le più giovani. Dobbiamo superare una subalternità antica. Un sentimento che ci attraversa sempre e che ci fa venire paura di prendere il comando». E agli uomini cosa si può augurare? «Di unirsi a noi in questo percorso. Noi e loro il mondo è fatto di queste due parti: se non comunichiamo non c’è felicità per nessuno». Il tradimento della lingua, Il maschile neutro occulta ancora le donne di Sara Ventroni
Il linguaggio veicolo di stereotipi sessisti. Vario il campionario per indicare una prostituta o una casalinga
ma poi si è in difficoltà nello scegliere il genere per definire una donna ai vertici della politica e della società
“Ha ancora senso essere femministe?». È questa l’ultima domanda che Stefania Noce, studentessa di 24 anni, ha lanciato nella rete, prima di essere uccisa dal suo ex fidanzato lo scorso 27 dicembre, a Licodia Eubea. Stefania non aveva dubbi: era femminista. Lo ha spiegato in un’intensa riflessione che è diventata, suo malgrado, un testamento politico: «Il corpo delle donne in quanto materno è ancora alieni iuri per tutte le questioni cosiddette bioetiche… di questa mostruosità giuridica sono poi antecedenti arcaici la trasmissione obbligatoria del cognome paterno, la perdurante violabilità del corpo femminile nell’immaginario e nella pratica sociale di molti uomini e, infine, quella cosa apparentemente ineffabile che è la lingua con cui parliamo, quel tradimento linguistico che ogni donna registra tutte le volte che cento donne e un ragazzo sono, per esempio, andati al mare». In questione, dunque, è il rapporto - per nulla pacifico - tra linguaggio e ordine simbolico: esiste una differenza sessuale che precede la lingua ma che la lingua non dice; questa è una delle lezioni più importanti del femminismo. L’ordine simbolico è costruito su una stratificazione sociale di significati: il «maschile plurale» non è che una convenzione; rappresenta il maschile e non l’universale. Non c’è nulla di neutro nella lingua. Della questione si è cominciato a ragionare in modo sistematico solo nella seconda metà del secolo scorso, indagando la lingua come veicolo involontario di stereotipi sessisti; in questo contesto si inseriva il lavoro di Alma Sabatini, «Il sessismo nella lingua italiana» (pubblicato nel 1987a cura della Presidenza del Consiglio dei ministri): uno studio che andava ben oltre i precetti morfologici o di lessico e interrogava direttamente il rapporto tra parlanti e ideologia. Diremmo: tra democrazia formale e le spie linguistiche di un ordine patriarcale. «Il maschile neutro occulta la presenza delle donne così come ne occulta la sua assenza. Quando si parla della democrazia ateniese sottolineando che gli ateniesi avevano diritto di voto, viene di fatto nascosta la realtà che questo era negato al 50% circa della popolazione, le donne. Che la lingua rispecchi e rinforzi l’identificazione degli uomini/maschi con l’universo salta all’occhio nella denominazione di “suffragio universale” ai tempi giolittiani, da cui le donne erano totalmente escluse», spiega Sabatini. La scoperta del fondamento androcentrico della lingua riserva le sue sorprese: basta sfogliare un qualsiasi dizionario per rendersi conto di quali campi semantici gravitino intorno ai due sessi. Alla parola «uomo» non pertiene infatti solo l’appartenenza al sesso maschile ma il diritto di rappresentare la specie. La parola «uomo »contiene la donna,ma non viceversa. Inoltre, la parola donna – «femmina dell’uomo» – sembra essere associata a due tropi privilegiati: la casa e la strada («donna di casa», «donna di malaffare», «donna da marciapiede», «donna di mondo», «donnadi giro» ecc.). Se il campionario di espressioni per indicare una prostituta o una casalinga è incredibilmente vario, i parlanti sono in difficoltà nel dover scegliere tra «la Segretaria Generale Camusso», «il segretario Susanna Camusso» o, per tagliare corto e sviare il dubbio, semplicemente: «la Camusso». Ovviamente non sono le parole a essere inadeguate, come provò a dimostrare, non senza ironia, Alice Ceresa con il suo «Piccolo dizionario dell’inuguaglianza femminile» (edito postumo da Tatiana Crivelli nel 2007): “si può dire che sono femminili tutte le devianze del maschile”. Una ricognizione interessante è «Che genere di lingua? Sessismo e potere discriminatorio delle parole », a cura di Maria Serena Sapegno, uscito nel novembre 2010. Nell’intervento di Fabrizia Giuliani si mette infatti in luce il legame indissolubile tra esperienza e parola; il passaggio dalla parola al concetto nella costruzione di luoghi comuni e di mentalità. Perché la lingua non si limita a registrare un’esperienza ma la codifica socialmente. È quindi legittimo interrogarla nelle sue strutture profonde per capire a quale ordine riconduce. D’altronde, il primo gesto di liberazione è sempre un atto linguistico: avere coscienza di sé significa nominarsi. Concludeva Stefania Noce: «Le donne sono persone di sesso femminile prima ancora di essere mogli, madri, sorelle e quindi nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato né, tantomeno, di una religione». Stefania, e come lei altre donne, aveva preso coscienza e desiderava una società (e forse anche una lingua) finalmente carica della differenza sessuata dei corpi. Per questo motivo non poteva non definirsi «femminista». È tempo che anche gli uomini s’interroghino sull’ordine simbolico nel quale vengono al mondo. Sopraffazione e abusi Non chiamateli amore di Fabrizia Giuliani
Dietro la violenza una gigantesca questione maschile. Le donne scelgono, ma il mondo è pronto ad
accogliere questa libertà?
La cronaca inghiotte i loro
nomi a ritmo quotidiano:
di Klaire, Maria,
Stefania, sappiamo poco
o nulla. La storia è
sempre uguale: una donna muore
per mano di un uomo molto vicino
a lei: un ex - marito, compagno,
findanzato – che non ha accettato
la fine di una relazione, o
un amico che non ha sopportato il
rifiuto di cominciarne una. La tragedia,
a volte, non si ferma. Con
quella donna muoiono altre persone:
familiari, amici, o semplicemente
qualcuno che passava di là.
Non sono storie che fanno notizia.
Un ordine intero tende a coprire
responsabilità e complicità: se
una donna muore così – e non per
mano di uno straniero, l’uomo nero
su cui si abbatte l’ira della comunità
– non c’è scandalo, non c’è
notizia. Non c’è notizia perché
non c’è salto. Per comprendere il
tabù sulla violenza basta accostare
i dati degli omicidi agli altri numeri
che descrivono la vita delle donne in Italia: il lavoro che non c’è, i salari dispari, le donne assenti dove si decide. Ma soprattutto occorre vedere il nesso con la rappresentazione che si da delle donne, della loro disponibilità, dei loro rapporti con gli uomini. La vita delle donne è cambiata, è cambiata la consapevolezza di sé e delle relazioni. Le donne scelgono, ma quanto il mondo è pronto ad accogliere questa libertà? Dietro la violenza c’è, al fondo, una gigantesca questione maschile ed è ora che la si veda. Ma occorre interrogarsi anche su un nodo che tocca anche la libertà e la responsabilità femminile. Come crescono i figli maschi? Come acquisiscono la misura dei propri bisogni, delle proprie aspettative e dei propri desideri, nella relazione con la madre? La vita delle donne è cambiata, e il mondo non torna a girare al contrario. Le donne continueranno a scegliere. Non chiamano più amore la sopraffazione, l’umiliazione e l’abuso. Chiedono una storia nuova, di coraggio e di libertà. E tempo di cominciarla.
Mai più maltrattate Oggi sappiamo dire no di Alessandra Bocchetti
Colpevoli gli uomini ma noi dobbiamo saper riconoscere
la violenza, organizzarci perché sia sempre possibile sottrarci
Fa orrore quante donne
vengano uccise dai mariti,
dai fidanzati, dagli
amanti, quasi tutti abbandonati
o in via di abbandono.
È impressionante la rapidità
con cui «uomini normali», così si dice
di quasi tutti, diventino torturatori o assassini. Per darsi una spiegazione sui media si parla di gelosia, di amore passionale. Tutti sappiamo che l’amore è il gioco più pericoloso che esista, ma la vera ragione è un’altra. È che la donna oggi si sente libera di dire di «no», di dire «basta è finita », ma l’uomo ancora non è pronto a sentirselo dire. Gli uomini amano le donne ma non la loro libertà. Solo nel 1954 è stata eliminata una legge vergognosa, lo jus corrigendi, che nonostante l’art.3 della Costituzione, dava il diritto al marito di «correggere » la moglie anche a suon di botte. La violenza degli uomini contro le donne è ancora inscritta profondamente nella nostra cultura, purtroppo non basta cancellare una legge. Gli uomini dovranno riflettere, correggersi e talvolta farsi curare. Le donne, invece, devono imparare a riconoscere la violenza, prima che questa avvenga, e organizzarsi la vita perché sia sempre possibile sottrarsi. Oggi, proprio perché sono libere sono anch’esse responsabili. Oggi è colpevole un uomo che maltratta una donna, ma è ancora più colpevole una donna che si fa maltrattare. «La mia donna », «le nostre donne», «il mio uomo », «i nostri uomini», basta con questi possessivi che hanno fatto dell’amore una riserva di posseduti. Allontaniamoci un po’ gli uni dalle altre, forse così saranno possibili dei veri incontri e il fiume di sangue e di lacrime potrà diminuire. Corriere della Sera
Siamo veramente libere di scegliere o è un'illusione? di LEA MELANDRI
Nonostante il profluvio dei dati che ci informano ogni giorno sulla disparità persistente di occupazione, stipendi, carriere e ruoli di potere tra uomini e donne, sono due i temi che catturano, sia pure sporadicamente il dibattito: la frequenza degli omicidi di cui le donne sono vittime in ambito famigliare e il protagonismo che è andato assumendo il corpo femminile nella sfera pubblica. Segnali apparentemente opposti - permanenza di una atavica possessività selvaggia, nel primo caso, affermazione di una conquistata padronanza di sé, nell'altro -, sono invece, a guardar bene, rivelatori di una libertà controversa che si fa strada lentamente tra molti ostacoli materiali e psicologici, stretta dentro le contraddizioni di un dominio che ha visto confondersi logiche d'amore e logiche di guerra. Se nei rapporti di coppia, negli affetti famigliari, persistono annodamenti evidenti tra spinte all'autonomia e vincoli di dipendenza, strappi improvvisi e riappacificazioni, più difficile è vedere la sottile linea di confine che passa tra la possibilità, sicuramente maggiore che in passato, che hanno oggi le donne di «scegliere» e l'autonomia profonda da modelli interiorizzati che rende «libere di scegliere». Circa quarant'anni fa faceva il suo ingresso nella vita pubblica una generazione destinata a cambiare le categorie tradizionali della cultura e della politica, e ne nasceva al medesimo tempo un'altra che per effetto di quella «rivoluzione» avrebbe potuto vivere, se non in modo meno problematico, sicuramente meno oppressivo la propria appartenenza al sesso femminile. L'intuizione più originale di quegli inizi è stata rendersi conto che l'esclusione delle donne dalla vita pubblica, e la minorità giuridica, politica, culturale che ancora scontano per questo, comincia nel momento in cui sono state identificate col corpo - corpo che genera e corpo erotico -, sottomesse e sfruttate come «risorse» naturali, costrette a vivere in funzione dell'uomo e attraverso l'uomo. La violenza più insidiosa, perché meno visibile, apparve allora la collusione involontaria tra la vittima e l'aggressore, accomunati dalla stessa visione del mondo. La generazione delle figlie e delle nipoti gode oggi di diritti fino a pochi decenni fa impensabili, ma che rischiano di rimanere solo formali quando urtano contro un sentire intimo che conserva abitudini, pregiudizi, adattamenti inconsapevoli al passato. Altrettanto si può dire di una libertà che vede il corpo e le attrattive che l'immaginario maschile vi ha attribuito emanciparsi dalla repressione e da un controllo secolari, senza perdere per questo la possibilità di tornare a essere «oggetto» «complemento» di un ordine esistente. Si può leggere in questo senso, per certi aspetti, anche il «talento femminile» richiesto oggi come «valore aggiunto» dalla nuova economia. Usare prerogative come la seduzione e la maternità, che l'hanno resa desiderabile ma anche potente e minacciosa agli occhi dell'uomo, e tentare di ricavarne un vantaggio proprio, qualunque esso sia, significa per la donna farsi «soggetto» della propria vita. La domanda che si pone allora è un'altra: siamo davvero libere o stiamo solo ribaltando quella che è stata un'imposizione in una scelta? Come è possibile che un modello obbligato di sopravvivenza si trasformi all'improvviso nel traguardo massimo di realizzazione propria? Se vogliamo chiamarla comunque libertà, riconosciamo almeno che è piuttosto ambigua. La Repubblica
La galassia del nuovo femminismo di Anna Bandettini
L'errore generale, dai giornali alla politica alle istituzioni, è pensare che le donne si siano autocondannate al silenzio. Non è così. Sono anni ormai che anche in Italia le associazioni hanno avviato riflessioni, battaglie, campagne sui temi che riguardano il loro ruolo e la loro identità nella società. La partita, ormai è chiaro si gioca su alcuni temi fondanti: sul lavoro e il welfare, sulla partecipazione politica e la democrazia paritaria, sulla lotta al femminicidio che in Italia ha contorni allarmanti (ogni due giorni un omicidio contro una donna) e sulla rappresentazione che pubblicità e massmedia danno della donna.
Sono circa 25 le associazioni (da Il paese delle donne a Filomena, da Lucy e le altre ad Aidos ) che hanno
firmato una lettera-documento sulla democrazia paritaria spedita ai presidenti dei partiti, dei gruppi
parlamentari di destra e sinistra. La lettera chiede che "vengano introdotte nella legge elettorale, quale che
sia il sistema prescelto, norme di garanzia per una rappresentanza di genere paritaria e siano previste
norme sanzioni in caso di loro mancato rispetto, nonché organismi di controllo e democrazia". Le
promotrici, Noi rete donne, Associazione federativa Femminista
Internazionale e Se non ora Quando-Snoq stanno da mesi lavorando alla stesura di una proposta di legge
sulla democrazia paritaria, e su questi temi Snoq organizzerà a Milano una due giorni il 14 e 15 aprile.
Donne in quota si è appellata pochi giorni fa al Tar e al Consiglio di Stato contro le scelte della Regione
Lombardia di mettere solo una donna in giunta, contravvenendo alle leggi regionali sulla parità di genere.
Lavoro e welfare. L'impegno sulla rappresentanza è direttamente legato a quello sul lavoro e sul welfare,
perché se in tempi di crisi sono le donne a pagare il prezzo più alto, è anche vero che senza donne nei
luoghi della politica è difficile portare i temi e fare le battaglie per le donne. E proprio sul lavoro dal maggio
2011 la milanese Libreria delle donne ha avviato "L'agorà del lavoro", una piazza pubblica di discussione
dove si progetta un sistema organizzativo del lavoro nuovo e meno maschilista, dove i tempi del lavoro non
siano in contrasto con quelli della vita e della cura altrettanto importanti per il welfare di un paese. L'agorà
punta a un vero ribaltamento nella visione del mondo del lavoro, "è l'unico agire politico reale per
modificare l'organizzazione del lavoro", dice Pinuccia Barbieri della Libreria dove sabato si presenterà il
numero 100 della rivista "via Dogana": la discussione da subito è stata aperta ad altre associazioni femminili
la Lud-Libera Università delle donne , Donne senza guscio (donnesenzaguscio.blogspot.com ) e altre.
Sul lavoro sta svolgendo un importante lavoro l'Udi , scesa in campo a difesa delle operaie dell'Omsa di
Faenza chiedendo alle altre donne di boicottare i prodotti di quel marchio se le operaie non vengono
riassunte. A tutela delle giovani lavoratrici da settimane gira sul web la lettera lanciata da Titti Di salvo sulla
legge, abrogata nel 2008, 188 contro la richiesta di dimissioni in bianco da parte delle aziende. Ancora sul
lavoro Pari o dispare (pariodispare. org) ha lanciato la campagna sul lavoro e la conciliazione proponendo
nuove misure di welfare, a cominciare dalla richiesta del voucher universale per i servizi alla persona. Il
vaucher potrebbe essere utilizzato per una badante, una babysitter o per un asilo privato agevolando così
la lavoratrice donna. "Perfino molte aziende sono interessante a questo". Sulla stessa linea si sono mosse le
donne di Ingenere che raccoglie professioniste dell'economia, della sociologia ecc. che hanno redatto una
sorta di abcedario su come cambiare il welfare nell'impresa e nell'economia, dall'assegno di maternità
universale al ripristino del tempo pieno nelle scuole.
Pari o dispare ha avviato anche una campagna su "media e stereotipi di genere" redigendo un manifesto
che continua ad avere adesioni sul loro sito, con un richiamo alla pubblicità responsabile sul corpo
femminile e chiedendo alle aziende di sottoscrivere un impegno a non ledere l'immagine delle donne nel
promuovere i loro prodotti: da Missoni a Johnson&Johnson hanno già firmato, segno che cambiare si può.
I mass media. Sulla rappresentazione della donna nei mass media si sono mosse anche le giornaliste di
Giulia: dopo un monitoraggio su come la stampa italiana tratta la donna si organizzerà un convegno
pubblico. Sempre Giulia è attiva su altri fronti che riguardano il linguaggio, il lavoro e la violenza che è al
centro della prossima campagna di Snoq e dell'Udi: l'Udi sta elaborando un piano nazionale contro la
violenza alle donne. Interessanti anche le "bacheche rosa", realizzate a Napoli da Il paese delle donne .
Contro la violenza (la Lombardia è tra le poche regioni a non avere una legge regionale in merito) si muove
anche Usciamo dal silenzio, il gruppo milanese, che per quest'anno riprende come centrali quello della
salute che in Lombardia è particolarmente sentito, dunque la legge 194 sull'interruzione di gravidanza, il coordinamento sui consultori che stanno chiudendo. E a proposito di campagna per il rispetto delle donne, ecco l'iniziativa sulla toponomastica femminile. Persino nei nomi delle strade l'Italia non rispetta la democrazia di genere (a Torino su 1241 strade 27 solo sono dedicate a donne, a Milano che sono poche di più sono solo 130 e così via.). Maria Pia Ercolini ha proposto su Facebook una raccolta di firme che ha già avuto una quantità di adesioni con un bel progetto (8marzo3donne3strade@gmail.com) di memoria femminile: "Tre donne tre strade" chiede ai Comuni di impegnarsi a dedicare le prossime tre strade a tre donne una di rilevanza locale, una nazionale e una straniera. Il Comune di Milano ha già detto sì. Dal Quotidiano della Calabria di Nicola Orso
GIOIA TAURO - «Ogni occasione per onorare la figura di mio figlio e per lanciare messaggi contro qualsiasi forma di violenza trova la mia piena condivisione». Così ha riferito ieri al nostro giornale Antonio Pioli, il papà del giovane elettrauto di Gioia Tauro scomparso dal 23 febbraio scorso, a proposito della manifestazione che si svolgerà oggi pomeriggio, alle ore 17.30, a Melicucco, a cura dell’amministrazione comunale della cittadina pianigiana e del movimento “Se non ora, quando?”. «Ho sentito telefonicamente la dottoressa La Terra, referente locale del movimento, alla quale ho espresso sentimenti di apprezzamento e gratitudine per l’iniziativa – ha continuato Pioli - e mi auguro sia un primo passo per tentare di cambiare una mentalità brutale che non dovrebbe appartenere ai nostri giorni. Celebrare la Giornata della donna, nei termini in cui è stata programmata dal Comune di Melicucco e da “Se non ora, quando? - ha ribadito - significa voler condannare tutte le brutalità. In quanto a Simona, sento di doverla ringraziare perché ha denunciato i fatti. Se non l’avesse fatto, probabilmente non si sarebbe saputo nulla, nel senso che non saremmo venuti a conoscenza dei motivi della sparizione di Fabrizio». Le parole forti di Antonio Pioli sgombrano il campo da possibili equivoci che, in momenti così delicati, non fanno altro che generare confusione e, ancora peggio, rivalità che non esistono tra le due comunità coinvolte, cioè Melicucco e Gioia Tauro. Un gesto di civiltà quello del padre di Fabrizio, che andrebbe imitato. La Stampa
Le iniziative per l’8 marzo, di Laura Preite
In tutta Italia, serate e appuntamenti per celebrare la ricorrenza Sono molte le iniziative per l’8 marzo, festa della donna. La ricorrenza internazionale nasce nel 1911. Allora si celebrava il 19 marzo e portò in piazza più di un milione di persone, in Austria, Danimarca, Germania e Svizzera che chiedevano il diritto delle donne a lavorare e lo stop alla discriminazione di genere. Oggi il tema del lavoro rimane centrale negli eventi di questa giornata. Il movimento Se non ora quando, rilancia la petizione partita a fine febbraio per reintrodurre la legge contro le dimissioni in bianco, la 188 del 2007. La pratica delle dimissioni in bianco continua a essere usata in particolare contro le giovani che rimangono incinte. Anche quest'anno, in tutta Italia, per le donne saranno gratuiti i musei statali. Iniziative a Roma
Alla Casa internazionale della donna, la serata dell’8 è fitta di appuntamenti a partire dalla presentazione del volume “La dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, di Olympe de Gouges. È stato scritto nel 1791, su modello della Dichiarazione dei diritti dell’uomo francese, che eslcudeva le donne dal potere e dalla rappresentanza. Dello stesso tono è l’iniziativa dell’archivio di Stato,“Voci della memoria restituita, Anna del Monte, Violante Camporese, Contessa Lara e le altre” . Si va alla riscoperta delle donne assenti dai libri di storia. Saranno letti brani dal Medioevo fino ai giorni nostri su temi diversi, dall’economia alla politica. Di carattere letterario è il reading “Le mele di Eva” in collaborazione con la commissione delle elette di Roma, organo che raccoglie tutte le consigliere della regione e che promuove le pari opportunità. A partire dalle 11,30 in alcune stazioni della metropolitana A e B saranno letti brani di autrici donne dedicati alla capitale, dalla cantante Gabriella Ferri, alla poetessa Patrizia Cavalli. Ai passanti che si fermeranno verranno regalate delle mele. Di diverso stile è invece “Female in March”, organizzata da un gruppo di artiste e creative (www.femalecut.it). È una rassegna in otto appuntamenti, iniziata il 3 marzo e che terminerà il 30 che "vuole approfondire il concetto d’identità femminile, dei valori e del linguaggio che uniscono e diversificano il femminile nell’arte, nella musica e nel sociale”. “Female in March” comprende djset, spettacoli teatrali, installazioni. Per l’8 marzo l’appuntamento è in via Galvani 24, al quartiere Testaccio per la "Pink dinner". Iniziative a Milano
Ancora letture a Milano, a palazzo Marino, alla presenza degli organi di rappresentanza femminile del Comune, a partire dalla delegata alle pari opportunità, Francesca Zajczyk. Questa volta è il mito a essere raccontato dalla voce dell’esperta in materia, la scrittrice Eva Cantarella. La provincia premierà gli studenti delle scuole superiori che hanno partecipato al concorso per cortometraggi sul tema della violenza dal titolo “Diamo voce alla dignità delle donne”, all’Istituto Cavalieri di via Olona. Mentre all’Università degli studi di Milano Bicocca, alle ore 10 ci sarà il seminario aperto al pubblico “Le pensioni e le donne in tempi di crisi economica” con Carmen Leccardi, una delle maggiori esperte di tematiche di genere in Italia. L’incontro analizza il tema delle pensioni alla luce della recente riforma del Governo Monti. Milano è tra le prime città italiane ad aver aderito alla campagna Toponomastica femminile (www3.lastampa.it/costume/sezioni/articolo/lstp/443175/) e dedicare una via a un nome femminile. È stata scelta la giornalista russa Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca nel 2006. La campagna chiede a tutti i comuni italiani, per l’8 marzo di scegliere tre donne a cui dedicare tre strade, visto l’esiguo numero di nomi femminili nella toponomastica cittadina italiana. Iniziative a Torino
Alle ore 10, a Palazzo Civico, si terrà una lectio magistralis della sociologa, esperta di tematiche femminili, Chiara Sareceno (l’ingresso è su prenotazione 0114422430 – 2822). Si inaugura alla galleria Subalpina la mostra fotografica Women at work, di Laura Portinaro. Ventitré ritratti di donne al lavoro che vogliono documentare l’uguaglianza ma anche la discriminazione, diretta e indiretta, che ancora c’è negli ambienti lavorativi: “l'insofferenza dei colleghi maschi quando si trovano a essere sottoposti a una donna; l'ironia da bar sport quando ci si dimostra rigorose e intransigenti nel gestire risorse e responsabilità; le difficoltà che si incontrano nel conciliare la maternità con la carriera…” Di diverso tono, invece, è la marcia del collettivo Altereva e di altri gruppi femminili studenteschi nei “Luoghi del sessismo torinese”. Il corteo, che partirà alle 15 da piazza Castello, toccherà la Regione, via Roma, piazza Carlo Felice e terminerà a San Salvario, dopo essersi fermato di fronte ai consultori e ai centri di aiuto alla vita. La manifestazione vuole richiamare l’attenzione sulla recente introduzione del “Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l'interruzione volontaria di gravidanza”, che prevede l’introduzione nei consultori pubblici di volontari “per la vita”. Iniziative nel resto d’Italia e iniziative sul web
A Siena le donne di “Se non ora quando” organizzano un flash mob contro la violenza di genere.
L’appuntamento è alle 14 in via Banchi di Sopra. I nuovi dati raccolti dalla Casa delle donne di Bologna
registrano 120 femminicidi nel 2011. Sono le donne uccise della violenza maschile, nel 60% dei casi
compiuta da un compagno o un ex, nel restante 36% dai famiglia, nel 3,5% dei casi da sconosciuti. Sempre
dedicata alla violenza, prima causa di morte per le italiane dai 16 ai 44 anni, è la lettera pubblicata da un
gruppo di blogger (www.ilcorpodelledonne.net), tra cui Lorella Zanardo, Giovanna Cosenza e alcune
giornaliste per chiedere che siano gli uomini a scrivere di violenza contro le donne quest’anno per l’8
marzo, a dire “I care”, me ne preoccupo.
A Bologna l’Udi, Unione donne d’Italia, storica organizzazione femminile, sarà presente con banchetti in
piazza Maggiore e in diverse parti della città, tra cui l’ipermercato Centro Lame. Tema principale: il lavoro.
A Vicenza, invece, altre giovani sono pronte a scendere in piazza, in una street parade dal titolo “We Want
Sex ", dall’omonimo film, per il diritto a una sessualità “consapevole, autodeterminata, libera da pregiudizi
e stereotipi”. Si parte alle 18 da piazza Matteotti, direzione piazza delle Poste. Per aggiornamenti si può
consultare la pagina Facebook: https://www.facebook.com/8marzowewantsex

Source: http://www.senonoraquando.eu/wp-content/uploads/2012/03/Rassegna-stampa-SNOQ-8-marzo-2012.pdf

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