IL DIARIO/ Una settimana dopo, da un ospedale di Roma una domanda: perché 200 scosse non hanno provocato reazioni?
"Io, medico ferito e sfollato dico: l'allarme alla città andava dato" di MASSIMO GALLUCCI*
"Da gennaio, quasi settimanalmente si faceva sentire. Ma, un po' come nel film X-men 2, il verme divoratore era
sotto controllo. Così ci era stato detto più e più volte dalla stampa e dalle televisioni locali. E così parcheggio, senza
particolari precauzioni, nel piazzale alberato a 100 metri da casa.
Casa: una palazzina cielo-terra di 3 piani e piccolo attico, di stesura settecentesca, manipolata più volte in seguito,
e da noi restaurata 12 anni fa. Per strada, davanti il mio ingresso, gli studenti che alloggiano in affitto negli
appartamenti di fronte in cemento armato. Sono una decina, in strada. Una ragazza piange: "non ne posso più, ho
paura voglio andare via". Un ragazzo l'abbraccia protettivo. Stai tranquilla. Sono scosse di assestamento. Ormai ci
Così ci prepariamo, come ogni sera quasi tranquilli. A letto. Io, mia moglie e mia figlia. Un letto d'epoca, veneziano,
con una spalliera piuttosto alta, che avrà un ruolo in questa storia. Stranamente essenziale e per questo bellissimo.
All'una circa sono svegliato da un'altra scossa. O l'ho sognata? Resto sveglio. Dopo un po' ne arriva un'altra.
Alle 3 e mezzo il letto salta, si muove. Non c'è più luce elettrica, polvere dovunque, si fa fatica a respirare tra la
polvere e l'odore acre, inconfondibile del gas di città, e il ballo continua, accelera, è forsennato, sale il rumore, quel
borborigmo che diventa un ululato rotto dagli allarmi delle auto e da grida, grida, grida attorno. Virginia chiama. Mi
butto su di lei per ripararla dalla pioggia di calcinacci e urlo: "Non preoccuparti, è finito, è finito!"
Ripeto istericamente quella frase per 22 secondi.
E' finito! Grido finalmente per l'ultima volta e "ordino" a mia moglie e mia figlia di seguirmi, di scappare via, subito.
Scendo dal letto. Macerie sul pavimento. Polvere e odore di gas. Urla da fuori. Non si vede nulla. Cerco a tentoni la
porta, ma non riconosco la camera da letto: la stanza è cambiata. O almeno il letto è in un'altra posizione. La trovo.
Si apre. A tentoni raggiungo la rampa delle scale con la sensazione di non trovare le pareti al posto giusto. La rampa
A piedi nudi su quei sassi, poi sui vetri e i resti dei quadri dell'ingresso. Voglio vedere se si apre la porta. Sembra di
no, poi qualche spallata e ci riesco e un po' di luce delle stelle penetra la nebbia e lenisce l'angoscia. Grazie a Dio
non siamo prigionieri. Corro di nuovo su. Prendo Virginia e chiamo Lucilla. E approccio di nuovo la discesa. Ma
stavolta perdo l'equilibrio e cado di schiena, assieme a Virginia, violentemente sul pavimento dell'ingresso. Un bel
volo, forse di un metro e mezzo - due? Per un paio di secondi ho fosfeni. "Virginia, Lucilla, uscite! Uscite, sto bene!"
Intanto verifico che muovo le gambe e le mani. Ho un dolore terribile nell'intero tratto lombare. Sicuramente mi
sono fratturato. Mi faccio forza ed esco quasi carponi, poi mi metto in piedi e vedo l'orrore che mai avrei creduto o
pensato. Il palazzo di fronte: 5 piani di cemento armato accartocciati, stratificati come carte da gioco. Non sarà più
alto di 3-4 metri, ora. Non viene una voce da lì dentro. Un silenzio feroce. Mani nei capelli, piango, Daniela amica
cara e i bimbi Davide e Matteo; Maria Pia e i figli e quell'anomalo pitbull buono, l'avvocato Fioravanti e la moglie,
così dolci e pacati. Che gentiluomo, con la sua piccola collezione di auto d'epoca e il sorriso nonostante la leucemia,
e gli altri e gli studenti, quelli che piangevano e si consolavano.Travi di cemento armato di vari metri schiacciano i
resti di quella casa. Senza una gru è impossibile fare qualunque cosa. A piedi nudi, sui sassi della città atterrati per
terra, come tre zombi facciamo i 50 metri che ci separano da via XX Settembre dove altri zombi seminudi si
aggirano senza meta, con gli occhi sbarrati, senza saper dire una parola, guardandosi attorno e piangendo, alcuni.
Attraversiamo il parco alberato nel cui piazzale ho parcheggiato e raggiungiamo la macchina. E' coperta di detriti e
polvere, ma agibile. Con lucidità sia io che Lucilla avevamo preso le chiavi della macchina dal portaoggetti sul tavolo
dell'ingresso fortunatamente in piedi. In auto passiamo qualche ora, mentre la folla aumenta nel piazzale, assieme
al dolore lombare. Continuano le scosse.
Sento un ragazzo chiamare Maria, Mariaaaa da sopra le macerie: "c'è mia sorella lì sotto, Mariaaaa!" Alcuni hanno
piccole torce elettriche e scavano con le mani. Il termometro della mia auto indica 3 gradi. Chiedo a mia figlia di
avvolgermi una pezza da vetri attorno ai piedi congelati.
Passano amici e volti noti. Non vedo traccia di isteria. Uno stupore silenzioso e controllato. Tutti si chiedono tra le
lacrime: ha bisogno di qualcosa? Sapendo di aver poco o nulla da offrire. Aspettiamo, come bombardati, le luci
dell'alba. Per capire. Ma da capire c'è poco.
Mia moglie torna a casa. Entra per qualche secondo.
"Casa non c'è più. Abbiamo perso tutto. Sai a chi dobbiamo la vita? Alla spalliera del letto che ci ha riparato dai
massi della casa a fianco, accasciata come un vecchio sulla nostra. I massi hanno forzato, curvato su di noi la
spalliera spingendo il letto contro l'altra parete. Senza di essa, ci sarebbero venuti addosso, sulle teste". Deo gratias.
Una serie di coincidenze ci ha salvato la vita. Il resto non conta. Il resto si rifarà. Sono indeciso ora. Andiamo in
ospedale a L'Aquila, dove troverò certamente il caos dei feriti ammassati, o direttamente fuori. Ma chissà cosa ha
combinato il terremoto da quelle parti? Chissà le strade? Pensieri contorti che trovano soluzione presto: "Portami in
ospedale a L'Aquila. Sto per svenire dal dolore".
Sono quasi le otto. Passiamo per una circonvallazione fuori città evitando scientemente il centro con l'auto, e ai
nostri occhi si offre anche qui lo scenario di guerra che immaginavamo. Arriviamo e troviamo un'apocalisse ben
oltre le previsioni: l'accesso al pronto soccorso bloccato da un crollo e il magnifico costosissimo-ma-solido
ospedale è provato, inginocchiato, macilento. Dico a mia moglie di andare direttamente nel mio reparto. Inutile
intasare il Pronto Soccorso. E qui trovo gente che dalle 4 del mattino lavora indefessa e già sconvolta dai primi
orrori. Riesco a essere studiato. Sento l'affetto di chi mi sta intorno. Sono su una barella, finalmente, con un toradol
in vena, e il dolore si lenisce. Ho eseguito RM e TC mentre le scosse continuavano impetuose ed impietose. Ho una
diagnosi di frattura vertebrale somatica di L2 e varie contusioni.
Non ho notizie di mia madre, mio fratello, mia sorella, i nipoti: non ho potuto prendere il cellulare, sepolto dentro
casa. Quanto siamo stati viziati dalla tecnologia! Col mio cellulare ho perso la rubrica telefonica e quindi tutti i
In tarda mattinata l'ospedale è dichiarato inagibile ed evacuato. Mi cerco un ricovero altrove con la difficoltà di non
conoscere più i numeri di telefono di nessuno e approdo in qualche ora al Policlinico Umberto I a Roma.
E' già tempo di leccarsi le ferite e proporre rapide soluzioni. E' vero. E' anche vero che se il dolore non deve
alimentare né rendere faziosa la rabbia, non deve neanche occultare le legittime domande del caso. Non ho velleità
polemiche, e la gratitudine a tutti coloro che si sono adoperati per la mia città è infinita. Non posso, nel nome di
quei morti, tacere, però, in merito alla disorganizzazione preventiva e all'informazione fuorviante.
Da quasi 4 mesi erano state registrate quasi 200 scosse con epicentroa L'Aquila e dintorni. Non poteva essere un
evento che rientra nei limiti del normale, come si è sentito dire. Nelle ultime settimane erano incrementate di
numero ed intensità. Eppure le voci ufficiali erano rassicuranti. "Non creiamo allarmismi".
Ma perché essere preoccupati di dare un allarme consapevole? Noi medici siamo obbligati da anni al consenso
informato. Quando io intervengo su un aneurisma cerebrale sono COSTRETTO giustamente a dire e quantificare il
rischio percentuale di mortalità. E i Pazienti lo accettano. Non fanno gesti inconsulti.
Questo è il mio principale rammarico. Nessuno ha offerto istruzioni calme, rassicuranti, civili, informate. La mia
piccola storia assieme alle centinaia di storie di amici, mi ha insegnato che se avessi avuto una torcia elettrica sul
comodino non mi sarei fratturato la colonna vertebrale, se avessi avuto un cellulare a portata di mano avrei chiesto
aiuto per me e per il palazzo accanto, se molti avessero parcheggiato almeno un'auto fuori dal garage ora
l'avrebbero a disposizione, se in quell'auto avessero (e io avessi) messo una borsa con una tuta, uno spazzolino da
denti e una bottiglia d'acqua, si sarebbero tollerati meglio i disagi. Se si fosse tenuta una bottiglia d'acqua sul
comodino, se si fosse evitato di chiudere a chiave i portoni di casa, se si fosse detto di studiare una strategia di
fuga. Pensate a chi è rimasto incarcerato per ore senza poter comunicare con l'esterno perché aveva il cellulare in
un'altra stanza, o perché non trovava al buio le chiavi di casa, come le ragazze di un palazzo a fianco a me già semi
sventrato: 6 ore sotto un letto, con la terra che continuava a tremare, perché la porta era chiusa a chiave, senza una
torcia elettrica e senza cellulare per chiedere aiuto!
E inoltre, se invece di una decina di vigili del fuoco in servizio ci fosse stata una maggiore disponibilità di forze con
mezzi già sul posto, piuttosto che aspettarli da altrove, quegli eroi del quotidiano che sono i nostri vigili del fuoco e
i volontari della Protezione Civile avrebbero potuto lavorare in condizioni migliori.
Spero che i nostri figli possano fare affidamento su una società più civile".
* L'autore è professore e direttore Uoc di Neuroradiologia Università-Asl dell'Aquila
15 november 2010 Sojabönan har fått ett oförtjänt dåligt rykte. Den orsakar inte skadliga hormonrubbningar och är troligen skyddande mot cancer. Sanningen om soja. Hälsoböna eller ohälsosam? av Per Hormonstörande ämne Om ett spädbarn äter sojamjölk kroppen och det finns inget som har inga negativa effekter kunnat får det mellan 13 000 och 22 000 tyder på att fytoöstro
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